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Mobility Week 2023: il tema è il risparmio energetico

Anche nel 2023 come ogni anno la Comunità Europea dedica una settimana alla Mobilità Sostenibile con la Settimana Europea della Mobilità – Mobility Week , scegliendo un tema che sintetizzi gli impegni per quell’anno.

Il tema della Mobility Week 2023 è – Risparmiare energia – Cambia e Vai con eventi che si svolgono da sabato  16 settembre a venerdì 22 settembre.

Tutte le Azioni della Mobility Week

La scelta di una mobilità sostenibile può contribuire considerevolmente al risparmio energetico oltre a migliorare la vivibilità delle città dato che i trasporti sono il secondo settore più inquinante in Europa ed è quindi necessario compiere sforzi significativi per raggiungere l’obiettivo europeo di emissioni-zero di gas serra entro il 2050, come indicato nel Green Deal europeo.

Si tratta di una sfida importante, ed è essenziale che tutte le parti interessate e le città cooperino per ridurre in modo significativo le emissioni della mobilità urbana.

La povertà energetica e della mobilità sono in aumento a causa di maggiori costi per i residenti e le imprese.

• La gestione del trasporto pubblico ha raggiunto un livello elevato di spesa spese per i bilanci delle città.
• In seguito all’invasione russa dell’Ucraina, è fondamentale ridurre la nostra dipendenza dal petrolio russo e passare a fonti di energia sostenibili.
• La crisi climatica è sempre presente e abbiamo bisogno di un’Europa a emissioni zero entro il 2050.

L’azione collettiva per ridurre il consumo di energia ha già avuto un impatto positivo sulle riserve di carburante e i prezzi, ma possiamo fare di più attraverso

1) Trasporti pubblici.
2) Mobilità attiva.
3) Riduzione al minimo della dipendenza dall’auto,
4) Gestione della mobilità – mobility management
5) Soluzioni per le infrastrutture.


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Cibo

Dai serpenti alla zebra, a Napoli le pizze dell’orrore

Dall’ananas alle banane fino alle pizze condite con la carne di canguro e zebra, oppure con serpenti e grilli fino a quella speziata con il pollo tandoori immerso nello yogurt o a quella con la cannabis, non c’è pace per la vera pizza Made in Italy nei cinque continenti dove si trovano varianti che hanno fatto tremare i polsi a 1 italiano su 3 (36%) che in viaggio all’estero si è scontrato con le versioni più improbabili e i condimenti più bizzarri. E’ quanto emerge dall’analisi Coldiretti/Ipsos in occasione dell’apertura della prima Pizzeria degli Orrori al Villaggio della Coldiretti a Napoli in piazza Municipio nell’anniversario dell’inserimento nella lista Unesco del patrimonio dell’umanità il 7 dicembre 2017.

Un appuntamento per celebrare il piatto più amato della tradizione italiana ma anche per mostrare e denunciare con la prima pizzeria degli orrori gli scempi che si trovano all’estero, dalle Americhe all’Asia, dall’Africa all’Australia in Oceania fino all’Europa dove le varianti più terribili si trovano nei paesi del Nord, secondo l’analisi della Coldiretti presentata dal presidente i Ettore Prandini insieme a migliaia di agricoltori e cittadini.

In Asia il record del disgusto – evidenzia Coldiretti – spetta alla pizza al serpente di Hong Kong con carne di rettile. Secondo un proverbio cantonese, il momento migliore per mangiare i serpenti è “quando comincia a soffiare il vento autunnale”, quando ingrassano per il letargo. Chi la consuma è convinto che la carne di serpente abbia proprietà medicinali, migliori le condizioni della pelle e riscaldi il corpo. Ma una cultura gastronomia basata sui serpenti – spiega Coldiretti – è comune anche in altre parti del sud-est asiatico, come il Vietnam e la Thailandia dove si fa largo uso alimentare di grilli e altri insetti anche sulla pizza.

Mentre in Oceania, e più precisamente in Australia, si possono trovare pizze con la carne di canguro, di coccodrillo o di struzzo, ma anche con sopra la cannabis come condimento che ha mandato quest’anno in ospedale un’intera famiglia. Negli Stati Uniti è diffusa la presenza del Parmesan, il tarocco del vero Parmigiano e del vero Grana, abbinato al pollo sulla pizza, mentre la pizza hawaiana con l’ananas è un altro grande classico degli orrori Made in Usa. E negli States si sono inventati anche la pizza con sopra i maccheroni al formaggio. In Sud Africa si trova la pizza con le banane arricchita da diversi condimenti ma anche quella con la carne di zebra, molto diffusa nel continente.

In Portogallo preparano la pizza con il baccalà e le uova sode, mentre in Svezia oltre agli ingredienti base ci mettono qualsiasi cosa: tacchino e miele, frutta in scatola e cioccolato, polpette e anche dell’insalata di cavolo cappuccio, in Olanda c’è la pizza con kebab. Ma nel mondo c’è anche chi al posto della salsa di pomodoro usa il ketchup e fa largo uso di formaggi più disparati, dai falsi italiani al cheddar anglosassone.

Fra gli italiani che si sono “scottati” con la pizza all’estero, il 14% – secondo l’indagine Coldiretti/Ipsos – ha dichiarato di essere rimasto molto deluso, mentre un altro 22% si è detto abbastanza scontento. Una quota del 26% – afferma l’indagine Coldiretti/Ipsos – non si è fidata e non ha mai mangiato la pizza all’estero, ma non manca neppure un 6% invece di entusiasti e un 20% a cui è piaciuta abbastanza.

La delusione per le pizze all’estero riguarda diversi aspetti: al primo posto l’impasto (52%), al secondo il sapore (48%) e al terzo il tipo di ingredienti utilizzati (36%) considerata anche le stranezze diffuse fuori dai confini italiani. Ma tra i motivi di delusione per la pizza all’estero – ricorda l’indagine Coldiretti/Ipsos – ci sono anche la combinazione insolita degli ingredienti (34%), la cottura errata (30%), il costo elevato (25%), la preparazione (24%) e la scarsa digeribilità (23%).

”L’Arte tradizionale del pizzaiuolo napoletano” è stata riconosciuta dall’Unesco come parte del patrimonio culturale dell’umanità, trasmesso di generazione in generazione e continuamente ricreato, in grado di fornire alla comunità un senso di identità e continuità e di promuovere il rispetto per la diversità culturale e la creatività umana, secondo i criteri previsti dalla Convenzione Unesco del 2003. Si tratta di una pratica culinaria che comprende varie fasi, tra le quali – evidenzia Coldiretti – la preparazione dell’impasto, un movimento rotatorio fatto dal pizzaiolo e la cottura nel forno a legna.

“Garantire l’autenticità della ricetta e dell’arte della preparazione significa anche difendere un piatto che è parte integrante della nostra tradizione a tavola minacciata nel mondo dalla diffusione di falsi prodotti Made in Italy che hanno raggiunto l’astronomica cifra di 120 miliardi di euro, praticamente il doppio delle nostre esportazioni, sottraendo posti di lavoro e crescita all’Italia” sottolinea il presidente della Coldiretti Ettore Prandini.


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Agricoltura

Il suolo italiano è malato

Ogni 100 metri quadri di suolo, 47 presentano qualche forma di degrado. L’80% dei terreni agricoli, pari al 23% del territorio nazionale, è sottoposto a fenomeni erosivi e il 68% ha perso più del 60% del carbonio organico originariamente presente in essi. Il 23% dei suoli agricoli presenta livelli eccessivi di azoto mentre il 7% è sottoposto a fenomeni di salinizzazione secondaria. Le aree soggette a rischio alto o molto alto di compattazione coinvolgono l’8% del territorio. E poi ancora c’è il problema contaminazione: quella da alti quantitativi di rame riguarda il 14% della superficie italiana, mentre l’1% presenta elevate concentrazioni di mercurio. Sono sono alcuni dei numeri – certamente noti agli addetti ai lavori ma sconosciuti a buona parte dell’opinione pubblica, degli operatori dell’informazione e degli amministratori pubblici – contenuti nella prima edizione del Rapporto “Il suolo italiano ai tempi della crisi climatica” presentato a pochi giorni dal World Soil Day della FAO che si tiene il 5 dicembre.

“La degradazione del suolo rappresenta una grave minaccia per il Pianeta” ammonisce Maurizio Martina, vicedirettore generale FAO nella prefazione del rapporto. “Dai suoli dipende infatti una serie di servizi ecosistemici fondamentali per il benessere umano, come la protezione dell’ambiente e della biodiversità, la tutela del paesaggio, l’architettura e i processi urbani, oltre alle attività agricole. Il 95% del cibo globale viene prodotto direttamente o indirettamente dal suolo. Con il tasso corrente di erosione si stima che circa il 90% dei suoli sarà a rischio entro il 2050. Senza un’inversione di tendenza, potremmo perdere la totalità della terra fertile e coltivabile entro i prossimi 60 anni”.

L’idea del rapporto è di Re Soil Foundation, fondazione creata da Università di Bologna, Politecnico di Torino, Coldiretti e Novamont. Ma la pubblicazione è un’opera a più mani, resa possibile dal coinvolgimento del Joint Research Center della Commissione europea, CREA (Consiglio per la Ricerca e l’Economia Agraria), dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca ambientale), Ministero dell’Ambiente e dell’Università di Bologna.

“Il degrado del suolo è ancora oggi la Cenerentola delle emergenze ambientali. La sua sottovalutazione rappresenta un ostacolo all’adozione delle misure indispensabili per invertire la tendenza e riportare in salute i suoli italiani” spiega Giulia Gregori, membro del Consiglio di amministrazione di Re Soil Foundation – “Con questa pubblicazione abbiamo quindi cercato di riunire i dati più aggiornati e completi a nostra disposizione. Le dimensioni e le implicazioni dell’emergenza suolo sono ovviamente ben conosciute dagli addetti ai lavori, ma lo sono meno tra gli operatori dell’informazione, i decisori pubblici e l’opinione pubblica. In questo modo speriamo di aiutare ad innalzare l’attenzione su questo problema che ha già oggi impatti gravi e multiformi e richiede quindi di essere affrontato attraverso un approccio olistico che coinvolga tutte le competenze e le esperienze virtuose che ruotano attorno al Pianeta-suolo”.

Uno dei problemi da affrontare con maggiore urgenza è proprio la mancanza di dati adeguati. “A nostra disposizione – spiega Luca Montanarella, componente del Joint Research Center della Commissione europea, vincitore del Glinka World Soil Prize della FAO – abbiamo dati assolutamente parziali che non permettono una valutazione dettagliata di ogni singolo fenomeno su scala nazionale. Per una valutazione oggettiva dello stato dei suoli su tutto il territorio nazionale, sono indispensabili dati dettagliati, raccolti secondo procedure standardizzate e ripetuti nel tempo. Al momento, questi dati sono disponibili solo parzialmente”. Lacune cui cerca di rispondere la proposta di direttiva sul monitoraggio del suolo presentata nei mesi scorsi dalla Commissione europea e che, nelle prossime settimane, inizierà l’iter parlamentare di approvazione da parte del Parlamento europeo e del Consiglio Ue.

IL CARBONIO ORGANICO CONTINUA A DIMINUIRE

I dati a nostra disposizione, sono in ogni caso, estremamente preoccupanti. È il caso del carbonio organico, componente che ha un ruolo vitale per il funzionamento dell’ecosistema suolo e per la sua fertilità: la maggior parte dei suoli italiani, in particolare quelli coltivati, hanno un contenuto di carbonio organico da molto basso (< 1%) a basso (1÷2%), in ogni caso inferiore al limite considerato necessario per poter considerare sano un suolo. “La carenza della sostanza organica – spiega Claudio Ciavatta, professore ordinario di Chimica Agraria all’università di Bologna – interessa territori da nord a sud dell’Italia. Sono particolarmente colpite alcune aree del Piemonte nella zona del cuneese, dell’Emilia-Romagna, Toscana, Lazio, Campania, Basilicata, gran parte dei territori della Sicilia e parte della Sardegna. Una situazione dannosa sia sotto il profilo agronomico che ambientale”.

La perdita di sostanza organica è connessa con la diffusione di tecniche tipiche dell’agroindustria che hanno portato al sopravvento della fertilizzazione chimica, facendo aumentare le rese agricole ma depauperando però i suoli.

EROSIONE E DESERTIFICAZIONE

L’uso di tecniche dannose per i suoli non ha causato danni solo sul fronte del tasso di carbonio organico. “La meccanizzazione delle operazioni colturali e l’uso di pratiche agronomiche poco sostenibili, come concimazioni azotate e lavorazioni troppo profonde, unite al mancato presidio del territorio da parte dell’uomo, hanno fatto perdere 135 delle 677 gigatonnellate di carbonio stoccato nei terreni mondiali” ricorda all’interno del rapporto Giuseppe Corti, direttore Agricoltura e Ambiente del CREA (Consiglio per la Ricerca e l’Economia agraria). “Tutto questo, ha accentuato il fenomeno dell’erosione. In Italia, le perdite annuali di suolo sono superiori a 10 tonnellate per ettaro all’anno. Ma in alcuni territori, superano anche le 100 T/ha. Ciò equivale all’asportazione di uno spessore di suolo compreso tra 1 e 10 millimetri all’anno”.

Perdita di carbonio organico e erosione sono tra i fenomeni più rilevanti di degrado, che al suo massimo livello si presenta come desertificazione, con la perdita totale dei servizi ecosistemici. L’Italia è compresa a pieno titolo tra i Paesi a rischio di desertificazione nel quadro della Convenzione delle Nazioni Unite per la Lotta alla Desertificazione. “Le regioni più a rischio sono in questo caso quelle in cui l’elevato uso non sostenibile del suolo si associa a una scarsità di risorsa idrica” spiega Francesca Assennato, responsabile dell’Area monitoraggio e analisi integrata dell’uso del suolo, trasformazioni territoriali e processi di desertificazione dell’ISPRA. “Pensiamo in primo luogo alle nostre regioni meridionali. Ma la diversa distribuzione nel corso dell’anno di quantità disponibile causata dai cambiamenti climatici mette tutto il nostro territorio in pericolo”.

Eppure, “Intervenire è non solo utile dal punto di vista ambientale e sociale ma anche un ottimo investimento economico”, ricorda Anna Luise, Corrispondente Tecnico-scientifico della UNCCD e aggiunge che “Per ogni euro investito sul ripristino dei suoli si ottiene un risparmio di mancati costi attorno ai 30 euro”.

IMPERMEABILIZZAZIONE E BONIFICHE

La strada da fare è ancora lunga. I dati sull’impermeabilizzazione e coperture artificiali sono ad esempio particolarmente allarmanti anche se sono tra i più noti anche al di fuori della cerchia degli addetti ai lavori, grazie al meritorio lavoro dell’ISPRA che, da ormai un decennio, dedica al tema un rapporto ad hoc. “La copertura artificiale del suolo – ha ricordato durante la conferenza Michele Munafò, responsabile del Servizio per il Sistema Informativo Nazionale Ambientale dell’ISPRA – è arrivata al 7,14% del territorio nazionale. La media UE è del 4,2%. Ma in Lombardia, Veneto e Campania, tre delle aree più fertili del Paese, si supera già il 10% di impermeabilizzazione. Nelle provincie di Monza, Napoli e Milano il dato è ben oltre il 30%. Per di più, i suoli urbani sono quelli nei quali il consumo di suolo si è più intensificato negli ultimi anni. Sono così scomparse preziose aree permeabili, aggravando i danni da allagamenti e ondate di calore”.Va meglio sul fronte bonifiche. L’Italia conta attualmente 42 siti di interesse nazionale, che occupano 170mila ettari a terra e 78mila a mare, distribuiti all’interno del territorio italiano in maniera omogenea tra nord, sud e isole maggiori. Per bonificarli, il Ministero dell’Ambiente ha finora stanziato 2,25 miliardi di euro. “Dal 2014 ad oggi sono state restituite e quindi resi riutilizzabili circa 7565 ettari di suolo favorendo quindi la concreta applicazione dei principi di sostenibilità e di circolarità” ricorda Laura D’Aprile, capo del Dipartimento Transizione ecologica e investimenti verdi del Ministero dell’Ambiente. “Il trend è sempre crescente grazie anche al nuovo approccio utilizzato in primis dall’amministrazione centrale e di conseguenza da tutti gli operatori di settore, pubblici e privati, che si sono adoperati a raggiungere gli obiettivi prefissati, consapevoli delle opportunità che la bonifica di aree contaminate può offrire. Nel campo della bonifica dei siti contaminati risultati significativi possono essere conseguiti unicamente coinvolgendo tutti gli attori del settore: amministrazioni centrali e territoriali, enti di ricerca e università, aziende, associazioni e cittadini”.

DATI, BUONE LEGGI, CONOSCENZA E UN’AGRICOLTURA “AMICA DEL SUOLO”

Un approccio partecipato e percorsi condivisi che, oltre al problema del recupero delle aree contaminate, possono essere molto efficaci per curare anche molti altri mali del suolo. A ribadirlo sono i diversi rappresentanti delle tre società del suolo intervenute alla conferenza e che, all’interno del Rapporto, hanno indicato una serie di proposte concrete. A partire dall’esigenza della possibilità di poter contare su un minimo data set di indicatori da riunire in un indice di qualità del suolo. “Un indice – ricorda Giovanni Gigliotti, presidente della Società Italiana di Chimica Agraria – può essere usato per predire gli effetti dei sistemi agrari, delle pratiche agronomiche sulla qualità del suolo, o può evidenziare i primi segni della sua degradazione”. In tal senso, va ricordata positivamente la proposta della Mission Soil UE di usare 6 indicatori fondamentali: a ciascuno andranno associate delle soglie per verificare l’effetto delle diverse pratiche di gestione del suolo, in modo da poter distinguere quelle effettivamente sostenibili.

“Un’agricoltura ‘amica del suolo’ – aggiungono i rappresentanti del Comitato direttivo della SISS (Società Italiana Scienze del Suolo) – deve essere capace di adattare i sistemi agricoli alle condizioni esistenti, programmando operazioni che nel tempo riescano a riabilitare i suoli. In molti casi, il recupero o la rivisitazione delle sistemazioni idraulico-agrarie può essere la chiave di volta per permettere la reintroduzione di sostanza organica nel suolo”. Molte azioni possono essere messe in atto ma – aggiungono gli esponenti SISS – “devono essere intraprese di comune accordo tra amministratori, esperti, aziende agricole e cittadini”.

Ovviamente tutto ciò è reso più difficile dalle lacune legislative. “La legislazione italiana sul suolo è carente” denunciano i vertici della SIPe (Società italiana di Pedologia). “Nessuna proposta è andata oltre l’approvazione di un solo ramo del Parlamento. Auspicabili provvedimenti legislativi devono però basarsi su indicatori e modelli scelti e validati per fornire informazioni e schemi interpretativi della salute del suolo. In questo senso la SIPe (nel 2013 e nel 2022) si è fatta promotrice – con la collaborazione di tutte le società scientifiche agrarie (AISSA) – di una proposta di legge quadro sul suolo (il ddl 2614 nella XVIII legislatura)”. Ma altrettanto importante è aumentare la consapevolezza diffusa tra l’opinione pubblica sull’importanza del sistema suolo per il futuro dell’Umanità: “La formazione scolastica ed universitaria – aggiungono dalla SIPE – assume un ruolo fondamentale per smuovere l’attuale apatia nei confronti dei problemi del suolo; infatti una buona parte di studenti che si iscrive all’università non conosce l’esistenza di queste discipline”.


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In Evidenza

Domenica 3 dicembre è la Giornata internazionale delle persone con disabilità. Appuntamenti a Torino

Il 3 dicembre di ogni anno il mondo si unisce per celebrare la Giornata Internazionale delle persone con disabilità, un’occasione dedicata ai diritti delle persone con disabilità e alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica sulla sfida quotidiana affrontata da milioni di persone con disabilità in tutto il mondo. Questa giornata non è solo un promemoria di sfide e di diritti, ma anche un richiamo universale all’inclusione, alla solidarietà e alla promozione dell’uguaglianza. L’obiettivo degli eventi e dei dibattiti organizzati per quest’anno è quello di riflettere sull’importanza di garantire che ogni individuo, indipendentemente dalle sue abilità, abbia accesso ai diritti fondamentali, all’istruzione, all’occupazione e alla partecipazione attiva nella società. In un mondo che sta progressivamente diventando più consapevole delle diversità, è fondamentale abbattere i pregiudizi sociali e pensare le infrastrutture in un’ ottica più inclusiva.

Agenda della Disabilità: sfide e obiettivi

A trent’anni dall’istituzione della Giornata Internazionale delle persone con disabilità, le persone con disabilità e le loro famiglie conoscono ancora troppo bene l’emarginazione: spesso le persone con disabilità non si vedono riconosciuti i diritti civili e sociali fondamentali e le opportunità di partecipazione e inclusione sociale sono molto ristrette. Affinché si realizzi un cambiamento sostanziale, sono necessarie politiche, servizi, risorse e culture più robuste e adeguate, mirate a emancipare le persone dalla marginalità, isolamento e rischio di impoverimento, spingendole invece verso l’inclusione e le pari opportunità. L’Agenda della Disabilità, un progetto in collaborazione con CPD (Consulta per le Persone in Difficoltà) e Fondazione CRT, si propone di sostenere queste persone e le loro famiglie, delineando obiettivi, azioni e progetti sostenibili che coinvolgano responsabilità, sensibilità e disponibilità delle comunità e dei territori.

Eventi a Torino per la Giornata internazionale delle persone con disabilità

Gli eventi previsti per il 3 dicembre includono il Convegno Agenda della Disabilità 2023 presso la Sala Duomo delle OGR Torino, incontro che si terrà il 2 dicembre a partire dalle ore 9.30. Qui, si farà il punto della situazione e di valuteranno le conquiste di quest’anno per cambiare la narrazione sul rapporto tra lavoro e disabilità. L’importanza del tema del lavoro sarà oggetto sia del Convegno del 2 dicembre alle OGR Torino, sia del Seminario “Il Management e la Disabilità: prospettive e scenari futuri” che si terrà il 5 dicembre.
Domenica 3 dicembre invece la CPD in collaborazione con la Fondazione OMI organizza alle ore 21.00 presso il Coro di Santa Pelagia in via San Massimo 21, il concerto di Ivan Dalia, pianista e compositore, cieco dalla nascita, che si esibirà con il suo progetto “La cultura non è un confine, ma un contenitore”. Una serata che attraversa il momenti salienti della melodia italiana, rivisitati in chiave ironica, in cui l’artista mescolando musica, aneddoti e storie, porta in scena la storia del nostro inestimabile patrimonio musicale.
Martedì 5 dicembre alle ore 17.30 si svolgerà quindi il seminario “Management e disabilità: prospettive e scenari futuri” presso la SAA – School of Management in via Ventimiglia 115. Qui verranno affrontate questioni legate alla valorizzazione delle differenze nell’ottica di motori d’innovazione.
Gli eventi si concluderanno martedì 12 dicembre con l’ultimo appuntamento, dalle ore 9.30 al Palazzetto dello Sport Pala Gianni Asti, con la Giornata dedicata alle Scuole, che coinvolgerà migliaia di alunni delle scuole torinesi. “Siamo come i fiori” il nome di quest’appuntamento che riprende il tema del concorso multidisciplinare con cui si sono invitati gli studenti a riflettere in classe su inclusione e diversità, si svolgerà in una mattinata di festa, condivisione, sport con esibizioni di giovani artisti, musicisti e atleti con disabilità che sarà aperta non solo agli studenti ma a tutti i cittadini.

per altri dettagli sugli eventi: www.fondazionecrt.it


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