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Content Business

Telly lancia la prima TV gratuita che mostra in continuazione pubblicità

Telly, un’azienda fondata da Ilya Pozin cofondatore di Pluto TV, sta per mettere sul mercato un televisore completamente gratis, che mostra costantemente pubblicità su un secondo display più piccolo che si trova la soundbar . Oltre a mostrare annunci lo Smart Display inferiore è in grado di visualizzare diversi tipi di widget con risultati sportivi, notizie, meteo, dati dalla borsa.

Lawrence ha anche riferito che Telly sta lavorando a “Telly Rewards” un programma che premierà gli utenti con una carta regalo per servizi come Netflix o Starbucks per la partecipazione a sondaggi sullo schermo.

Il display principale é un pannello 4K HDR da 55 pollici collegato al display secondario tramite il sistema operativo TellyOS che non supporta app di streaming di terze parti come Netflix, ma la televisione avrà un dongle 4K Android TV gratuito per guardare qualsiasi servizio di streaming, o altre app presenti sulla piattaforma di Google. La TV è compatibile con piattaforme di streaming, come Roku, Amazon Fire Stick e Apple TV, ha tre ingressi HDMI, 2 ingressi USB e un sintonizzatore che si potrà utilizzare per guardare trasmissioni via etere.

La TV, integra una telecamera posizionata nel centro della soundbar, che consentirà di beneficiare di “programmi avanzati di fitness con rilevamento del movimento, insieme all’integrazione con Zoom per videochiamate e riunioni. La telecamera  è dotata di una tendina, per chiudere l’obiettivo della videocamera per la privacy.

Telly viene fornita con 40 giochi diversi e la capacità di riprodurre musica da servizi musicali popolari e  dispone di un assistente vocale basato su AI che risponde al comando Hey Telly.

Con la app mobile Telly  per Android e Ios Con l’app mobile Telly, é possibile controllare il televisore intelligente, creare e gestire un account, personalizzare i widget dello schermo.

E’ già possibile prenotare attraverso il sito web della società uno dei 500 mila dispositivi gratuiti che Telly lancerà quest’estate la cui diffusione è prevista per ora solo in USA.


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Column

Il commercio è l’anima dei social

C:\>10 Dietro il successo o le disgrazie di Twitter non c’è la politica, ma gli inserzionisti                                       

Mentre la maggior parte dei social e ultimamente anche molti commentatori suonano campane a morto per il futuro del comparto c’è anche chi sfrutta le sfortunate diatribe del Twitter di Elon Musk per cavalcare l’alternativa alle polemiche. È il caso di questa nuova app social, TouchApp che si fa forte del fatto di aver “rimosso dalla piattaforma 10 mila pagine di contenuti che non rispettavano i nostri valori e non andavano a beneficio degli utenti” e di pretendere che gli utenti abbiano più di 13 anni di età (visto che nei paesi occidentali il 99% dei bambini avrebbe costante accesso ai principali social e che il loro utilizzo non è mai sceso sotto il 17%). Il CEO di questa scommessa rincara la dose schierandosi in prima fila nella battaglia contro l’imperante cyberbullismo fra i minori (e non solo) affermando che “TouchApp impedisce il bullismo, il razzismo, la critica e il dibattito distruttivi fornendo strumenti unici e consentendo a ogni utente di contribuire alla costruzione di comunità che aumentano il valore della comunicazione sui social. La nostra promessa è quella di creare uno spazio sicuro in cui possano crescere attraverso la condivisione su questioni qualificate e di valore, con l’obiettivo principale di proteggere gli utenti, specialmente i bambini e i giovani, dal bullismo e dai contenuti dannosi”.

In definitiva, che il politically correct e la normalizzazione della comunicazione siano il vero imperativo della direzione reale dei social media tappa la bocca a molte delle polemiche in corso. Lo dimostrano gli indirizzi degli agenti pubblicitari rivolti ai clienti inserzionisti come nel caso di “una realtà come Omnicom che rappresenta brand quali MacDonald’s, Apple o Pepsi, pochi giorni addietro aveva raccomandato ai suoi clienti di lasciar perdere per ora gli annunci su Twitter, in attesa di capire la direzione di Musk”

Tremano le compagnie americane che vivono di inserzioni in vista del prossimo appuntamento del il Super Bowl che avverrà la prima domenica di febbraio e che rappresenta il maggior gettito pubblicitario degli USA e non solo, lo stesso evento in cui fece scalpore lo spot lanciato proprio dai megaschermi dello stadio per presentare il Macintosh.

È preoccupato Musk che ha visto gli introiti pubblicitari calare di 0,5 miliardi in breve tempo e lancia l’interrogativo provocatorio proprio a Tim Cook, chiedendo se “Apple ha praticamente smesso di fare pubblicità su Twitter perché odiano la libertà di espressione in America?”. I due CEO si sono poi incontrati in un’occasione in cui il più importante inserzionista del social avrebbe continuato ad investire su Twitter seppure passando dai 180 milioni già prima della fine dell’anno a 150 milioni di dollari per il 2022.

Nelle ultime ore, per arginare il fenomeno, Elon Musk avrebbe proposto agli inserzionisti americani uno sconto simile al “2 per 1”: «Gli inserzionisti statunitensi che comprano pubblicità per 500,000 dollari, disporranno di un meccanismo per vedere il valore della loro spesa aumentato del 100% fino a 1 milione di dollari».

Tuttavia, la ragione della preoccupazione degli investitori non sta tanto nel capitale: insiste soprattutto nel rischio che le inserzioni compaiano accanto a post che destino preoccupazione anche se con finalità di riflessione sociale. Recentemente 5 persone sono state uccise e altre 18 ferite in una sparatoria per opera di un folle in un locale LGBTQ+ a Colorado Springs. Post relativi ad eventi come questo suscitano in loro il timore che i loro messaggi e tweet, appaiano accanto a quelli relative a queste tragedie. Filmati di pestaggi della polizia o foto di uccisioni provocherebbero abbinamenti più o meno inconsci con il brand che vi comparirebbe accanto.

In pratica, a dettare le politiche dei social media non è la libertà di pensiero ma la dittatura del consumismo che tutto sommato è diventata il vero padrone delle condivisioni e per questo a prendere piede è verosimile che siano gli influencer della realtà addomesticata, più che virtuale. E su queste ragioni c’è poco da dibattere: è tutto solo meccanicistico, e quindi non è colpa di nessuno, se non del gregge del consumo stesso. La legge non è quella della “libera espressione“, quanto quella del “libero mercato“.

Alla fine, quasi quarant’anni dopo che proprio il filmato voluto da Steve Jobs sembrava voler annunciare un futuro di abbattimento dei condizionamenti mentali, oggi tutta l’informatica di Internet, prima fra tutte la stessa Apple, sta smentendo le sue previsioni: il 2024 sarà come 1984!


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Blogging

Il Media Fake-Social

C:/> Tutti addosso a Musk, ma il vero imputato è mr. Social Media

In questi giorni sembra che la questione sia la fuga su Mastodon da parte di migliaia di utenti Twitter che spesso il social cinguettante manco lo usavano ma dovevano fare qualcosa di diverso. Questo era già capitato quando fra la primavera e l’estate il buon Elon aveva manifestato fra il serio e il faceto la sua intenzione di comprare, ma ora che è stato obbligato a farlo i “cargo della speranza” degli esuli sono tornati a lambire le coste dei nostri giornaletti. Presto o quasi subito si accorgeranno che i lidi del “più grande social network decentralizzato facente parte del fediverso, una comunità internazionale composta da oltre 6 milioni di iscritti distribuiti su circa 14000 server indipendenti il cui obiettivo è rimettere il social nelle mani degli utenti” sta a Twitter come LaTeX sta a MS Word e anche peggio.

Lasciamo per ora perdere la questione dei padroni dell’uccello per soffermarci sui contorni che si muovono attorno al socialverso. Intanto Musk sembra aver lanciato una moda in parte già calcata da Telegram quando la società avente sede a Dubai ha promosso la sua versione premium a 3-4€ al mese che di vantaggi veri oltre alla stellina che compare accanto al tuo nome non ne offre più tanti. Musk fa quasi lo stesso “per qualche dollaro in più”. 8$ al mese permetteranno a tanti mr. Smith di avere un segno di spunta blu che qualifica gli account verificati accanto ai loro nomi «proprio come le celebrità, le aziende e i politici che già segui».

Probabilmente poco soddisfatti dei risultati degli abbonamenti premium, quelli di Telegram stanno rilanciando la politica twitteriana del “lei non sa chi sono io” permettendo agli stessi mr. Smith di acquistare e vendere brevi @username riconoscibili da attribuire ad account personali, gruppi e canali pubblici e l’asta per i migliori username come @Luca, @Gaia, o @Club è in corso su Fragment.

Il curioso stile manageriale di Musk si distingue anche nella gestione del personale: prima licenzia metà dei dipendenti per cancellare qualsivoglia odore di clintonismo dalla casta del cinguettio e poi torna sui suoi passi con quelli che servono e che siano pronti a convertirsi ad una linea politica diversa.

E qui arriviamo al paradosso se non al delirio: i social network (e per capirci vorrei citarne alcuni di storici di cui probabilmente ci siamo dimenticati che giocattoli, proprio come FaceBook e Twitter, erano all’inizio MySpace, Orkut, NetLog, ForuSquare, OnlyFans, Vine, SnapChat, ecc…) sono passati dall’essere un passatempo per goliardi e curiosi a una questione di dimensione geopolitica di primo piano se addirittura l’Alto Commissario Onu per i diritti umani, Volker Türk si è sentito in dovere di ricordare a Musk che «la libertà di parola non è un lasciapassare: la diffusione virale di disinformazione dannosa, come quella osservata durante la pandemia di Covid-19 in relazione ai vaccini, provoca danni nel mondo reale. Twitter ha la responsabilità di evitare di amplificare i contenuti che danneggiano i diritti di altre persone» e che «come tutte le aziende, Twitter deve comprendere i danni associati alla sua piattaforma e adottare misure per affrontarli. Il rispetto dei nostri diritti umani condivisi dovrebbe stabilire le barriere per l’uso e l’evoluzione della piattaforma. In breve, vi esorto a garantire che i diritti umani siano centrali nella gestione di Twitter sotto la vostra guida».

Siamo alla follia? Per me sì, ma non per molti burattinai dei media, come talune case farmaceutiche che hanno usato i social proprio per instillare la loro personale versione della comunicazione scientifica e del vocabolario (si pensi all’abuso scorretto della parola “pandemia”). Accanto ad Audi e General Mills, coprattutto la multinazionale farmaceutica Pfizer, preoccupata dalla possibilità che con la nuova gestione del social possano circolare liberamente articoli e studi che mettono in discussione l’efficacia e la sicurezza dei vaccini anti Covid da lei prodotti, ha preso le distanze dal social unendosi al coro di quanti secondo Musk sarebbero gli «attivisti che stanno cercando di distruggere la libertà di parola in America facendo pressione sugli inserzionisti, anche se nulla è cambiato con la moderazione dei contenuti».

Non stupisce che parallelamente all’endorsment di Musk a favore dei Repubblicani anche il traballante presidente democratico sia sceso a criticare aspramente la nuova linea di Twittter asserendo che si tratta di «un’organizzazione che sputa bugie in tutto il mondo». Un po’ come se il Papa condannasse il gioco del Monopoli dicendo che apre la strada all’anticristo.

Il fatto è che siamo stati noi, ognuno di noi a far sì che questa parodia dei sei gradi di prossimità che ha guidato la caricatura dei social media diventasse tale. Siamo noi che non ci siamo resi conto di quando le cose sono passate da un simpatico gioco per tardo-nerd in uno strumento di manipolazione dei cervellini. L’ingresso della medio-tarda età, di quelli che “io non ho mai votato né Berlusconi né la DC” hanno fatto sì che il nostro paese fosse stato da sempre governato da rappresentanti dell’anonimato. Le fotine di micetti, nipotini, amorini e battutine si trovavano accanto a notizie, vere, false, finte-vere e finte-false producendo un condizionamento operante sull’uomo medio.

Allora molti dicevano che per fortuna esisteva FaceBook che ci dava le notizie vere e non quelle dei giornali. Che si fosse così lontani dalla realtà lo dimostrano delle notizie riguardanti il “politicamente corretto” per i DEM Zuckerberg che — guarda caso — non hanno avuto gli onori della prima pagina come la questione-Twitter. A fronte dei 3700 dipendenti di Twitter licenziati da Musk e poi in parte riassunti, Zuck ne va a far fuori 11mila, ossia il 13% della forza lavoro. Evidentemente la diaspora degli investitori coinvolge un po’ tutti (oppure la si tira in ballo per non parlare di speculazioni).

Forse proprio per questo l’antitrust dell’EU in parallelo a un’inchiesta analoga delle autorità britanniche vorrebbe sanzionare Meta per l’utilizzo dei dati dei clienti e di pubblicità «targettizzate» sul social network.

E se le mani dei giocattoli sociali dominati non appaiono granché pulite sul versante commerciale, decisamente più preoccupanti delle antipatie dei democratici per Musk sono le indiscrezioni dal puzzo illiberale simile alla caccia alle streghe di Assange che provengono da Meta proprietaria di FaceBook, Instagram e WhatsApp.

Nonostante questa società mediatica ora sostenga lo scarso peso nei social dell’attività informativa, secondo i dati 2020 del Pew Research Center un terzo degli statunitensi (credo che qualcosa di analogo si possa facilmente ipotizzare anche per gli europei) si tiene informato attraverso Facebook. Se gli editori dei quotidiani potevano lamentarsi delle perdite provenienti proprio dalle notizie dei social dall’altra si facevano forti della campagna contro le fake news alimentata dagli stessi social a favore di discutibili fact checker come quelli anti-Trump oggetto dell’attacco di Musk o dei filo-sistema di casa nostra. Ecco, dunque, che il gruppo di Zuckerberg ha provveduto a tagli nel numero e nei compensi ai propri collaboratori e soprattutto al mondo dei freelance a favore delle testate blasonate e sostenute dal sistema.

Molto più che sullo spauracchio-Twitter, sarà proprio Facebook il social che con ogni probabilità andrà ulteriormente (come se non bastasse la situazione attuale) verso una selezione dei pezzi pubblicati con l’utilizzo del codice informatico dello stesso Facebook. C’è chi dice che lo farà attraverso la creazione di un marketplace per gli NFT o con le Facebook Star, valute digitali con cui sovvenzionare i propri influencer di fiducia.

Insomma, potremmo trovarci di fronte ad un nodo di Gordio che rischia di potersi sciogliere soltanto con il draconiano metodo di Alessandro: un bel colpo di spada! Forse i social sono destinati a diventare la nuova longa manus del potere politico-economico, ma è anche verosimile che il mondo, ormai diviso anche sul piano geopolitico, si stia stancando del concetto stesso sempre più anacronistico del social globale. A suo tempo Orkut era vivo fra i brasiliani come QQ e Wechat fra i cinesi e VKontact fra i russi, MySpace fra i musicisti e LinkedIn fra gli aziendalisti; forse domani ci sarà qualcosa di ancora diverso. Il modello decentrato di Mastodon? Le community di Telegram o WhatsApp? Oppure una rinfrescata del sano vecchio web?

Non sottovaluterei la poco invidiabile via dei NEET paradossalmente indotta proprio da un universo tanto pateticamente paradossale.


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Content Business

La grande migrazione da Twitter verso Mastodon: che cosa è la piattaforma di microblogging decentralizzata open source

Da quando Elon Musk ha acquistato Twitter molti utenti stanno migrando su Mastodon che in pochi giorni è cresciuto in Italia a tripla cifra.

(altro…)


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