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Clima

Le grotte come archivio di dati sui cambiamenti climatici

Sabato 17 marzo riprenderanno le visite alle miniere Paola e Gianna di Prali, curate dall’Ecomuseo regionale delle Miniere e della Val Germanasca, con il patrocinio della Città Metropolitana di Torino. Nel 2018 si celebrerà il ventennale dei tour “ScopriMiniera” e, per aprire il nuovo anno di attività, l’Ecomuseo, in collaborazione con l’associazione Amici della Scuola Latina di Pomaretto, organizza una conferenza su di una tematica attuale ed estremamente controversa: i cambiamenti climatici. Durante la serata saranno presentati le osservazioni scientifiche e i dati che si possono ricavare dalle esplorazioni in grotta. Il seminario si terrà venerdì 9 marzo alle 20,45 nella sala incontri della Scuola Latina. Il relatore sarà Federico Magrì, membro del Gruppo Speleologico Valli Pinerolesi del CAI di Pinerolo, che proporrà un punto di vista del tutto originale per approfondire il tema, derivante dall’esplorazione di ambienti preservati dall’azione umana. Nelle concrezioni depositate all’interno delle grotte naturali sono presenti le tracce delle modificazioni climatiche del passato. Con metodiche molto sofisticate è ad esempio iniziato lo studio delle concrezioni nella grotta del Rio Martino, a Crissolo, in valle Po. I dati ottenuti sono fondamentali per lo studio dell’area geografica delle Alpi

VENTICINQUE ANNI DI VALORIZZAZIONE DELLA CULTURA MATERIALE E IMMATERIALE E DELL’IDENTITÀ DELLA VAL GERMANASCA

Il progetto dell’Ecomuseo delle Miniere e della Val Germanasca è stato avviato nel 1993 ed è nato dall’esigenza e dalla volontà di conservare e valorizzare il ricco patrimonio minerario del territorio, in fase di lento abbandono e degrado. L’attività estrattiva è stata per molti decenni il motore economico della Valle Germanasca e ne ha fortemente caratterizzato il paesaggio. Alla fine degli anni ’80 del XX secolo la “coltivazione” delle miniere di talco era giunta al capolinea e il patrimonio minerario di oltre un secolo di vita delle genti della valle rischiava di andare perduto irrimediabilmente: i macchinari arrugginivano, le strutture delle miniere crollavano, gli archivi si dissolvevano, la memoria si spegneva. La Comunità Montana Valli Chisone e Germanasca, sull’esempio di progetti già realizzati in Gran Bretagna, Francia, Germania e Austria, colse la sfida e, con il sostegno dell’allora Provincia di Torino, avviò nell’ambito di un’intensa cooperazione transfrontaliera un progetto turistico–culturale di conservazione e valorizzazione del patrimonio minerario. Nel 1998 venne varata “Scopri Miniera”, una proposta di tour guidati lungo le gallerie della miniera Paola, alla scoperta della vita e del lavoro dei minatori. È stata ed è tuttora un’offerta turistica unica nel suo genere, oltre che un’occasione di nuova occupazione per la popolazione locale. Nel tempo quello che sembrava apparentemente un progetto monotematico, ha rivelato un’infinità di connessioni con la realtà culturale e ambientale in cui è inserito, evidenziando come l’uso corretto delle risorse culturali e ambientali locali contribuisca alla crescita sociale ed economica del territorio. I risultati ottenuti, le nuove capacità e competenze acquisite, le relazioni create, hanno stimolato e contribuito alla creazione del progetto di un Ecomuseo del territorio della Val Germanasca, riconosciuto nel 2003 dalla Regione Piemonte. ScopriMiniera è diventato il fulcro e il motore di una scommessa ad ampio respiro sulla valorizzazione del patrimonio minerario e della figura simbolo del contadino-minatore, contribuendo a creare un ambiente culturale attivo e positivo e attivando un turismo sostenibile, integrato con l’insieme delle attività economiche. ll fulcro della proposta ecomuseale è rappresentato dalle miniere-museo Paola e Gianna, situate a monte di un cantiere di estrazione ancora attivo, dove lavorano ancora circa cinquanta minatori. Nel 2013 nella miniera Gianna è stato realizzato il nuovo percorso di interpretazione geologica “Scopri Alpi”. Le gallerie del museo sono state attive fino al 1995. Oggi i fabbricati esterni e il sotterraneo sono allestiti e organizzati per descrivere al pubblico la vita dei minatori. A partire dal tema del contadino-minatore e dall’esperienza maturata con le proposte ScopriMiniera e ScopriAlpi, l’Ecomuseo delle Miniere e della Val Germanasca estende l’interesse a tutte le risorse e alla cultura della valle: il paesaggio, il culto evangelico valdese, la lingua occitana, l’economia familiare, i lavori nei campi e nel bosco, la vita comunitaria. Il successo di ScopriMiniera – integrato a partire dal 2013 dal nuovo percorso Scopri Alpi, con oltre 300mila visitatori totali in 17 anni di attività – viene così consolidato e affiancato dalle escursioni naturalistiche e geologiche, dalle visite ad antichi siti minerari, rifugi antiaerei, mulini ancora in attività, musei etnografico-storici e musei dedicati alla cultura valdese.

Per informazioni sulle visite alle miniere Paola e Gianna e sulle iniziative dell’Ecomuseo Regionale delle Miniere e della Val Germanasca, si può telefonare al numero 0121-806987 o scrivere a [email protected]


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Ambiente

A Rio de Janeiro temperatura percepita di 62,3 gradi

A Rio de Janeiro il termometro ha segnato domenica mattina alle 9:55 locali che corrispondo alle 13:55 italiane il record di temperatura percepita di 62,3 gradi nel quartiere di Guaratiba.
Si tratta del livello più alto mai registrato nella metropoli brasiliana dal 2014, quando sono iniziate le misurazioni.
Il Brasile sta attraversando una ondata di caldo soffocante e i meteorologi prevedono che la tendenza continuerà almeno fino a mercoledì 20 , giorno in cui inizia l’autunno nell’emisfero australe.


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Clima

Il 2023 è stato l’anno più caldo dal 1850

Il servizio satellitare Copernicus Climate ha confermato che il 2023 è stato l’anno più caldo dal 1850 da cui esistono misurazioni strumentali globali e probabilmente della storia secondo dati indiretti come carotaggi glaciali, anelli alberi, pollini fossili e concrezioni in grotta.

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Ambiente

Tracce di creme solari nelle nevi del Polo Nord

Attività di campionamento di neve a Ny-Ålesund, Isole Svalbard Crediti: F. Scoto, CNR - Unive

Ritrovate tracce di creme solari al Polo Nord, sui ghiacciai dell’arcipelago delle Svalbard. Si depositano soprattutto in inverno, quando sull’Artico cala la notte. A misurarne la concentrazione e spiegarne l’origine è uno studio condotto da ricercatrici e ricercatori dell’Università Ca’ Foscari Venezia e dell’Istituto di scienze polari del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isp), in collaborazione con l’Università delle Svalbard. I risultati sono pubblicati sulla rivista scientifica Science of the Total Environment.

L’obiettivo del lavoro era fornire la prima panoramica della presenza ambientale dei prodotti per la cura personale in Artico, fornendo dati sulla loro distribuzione spaziale e stagionale nel manto nevoso. Grazie ad un progetto Arctic Field Grant finanziato dal Research Council of Norway, in collaborazione con il Cnr-Isp e la stazione di ricerca Italiana Dirigibile Italia a Ny Ålesund, è stato possibile condurre, tra aprile e maggio 2021, un campionamento da cinque ghiacciai, situati nella penisola di Brøggerhalvøya. La varietà dei siti selezionati sia in prossimità di insediamenti umani sia in luoghi più remoti, ha permesso di studiare la presenza e il comportamento dei contaminanti emergenti, composti tutt’ora in uso ma monitorati dalla comunità scientifica in quanto potenzialmente dannosi per l’ecosistema.

I risultati hanno rivelato la presenza di diversi composti, come fragranze e filtri UV, che derivano dai prodotti per la cura personale di largo consumo, fino alle latitudini più estreme.

“Questa è la prima volta che molti dei contaminanti analizzati, quali Benzofenone-3, Octocrilene, Etilesil Metossicinnamato e Etilesil Salicilato, vengono identificati nella neve artica”, afferma Marianna D’Amico, dottoranda in Scienze polari all’Università Ca’ Foscari Venezia e prima autrice dello studio.

“I risultati evidenziano come la presenza dei contaminanti emergenti nelle aree remote sia imputabile al ruolo del trasporto atmosferico a lungo raggio”, spiega Marco Vecchiato, ricercatore in Chimica analitica a Ca’ Foscari e co-autore del lavoro. “Infatti, le concentrazioni più alte sono state riscontrate nelle deposizioni invernali. Alla fine dell’inverno, le masse d’aria contaminate provenienti dall’Eurasia raggiungono più facilmente l’Artico”.

“L’esempio più evidente riguarda proprio alcuni filtri UV normalmente presenti nelle creme solari. L’origine delle maggiori concentrazioni invernali di questi contaminanti non può che risiedere nelle regioni continentali abitate a latitudini più basse: alle Svalbard durante la notte artica il sole non sorge e non vengono utilizzate creme solari”, prosegue Vecchiato.

La distribuzione di alcuni di questi contaminanti varia in base all’altitudine. La maggior parte dei composti ha concentrazioni maggiori a quote più basse, tranne l’Octocrilene e il Benzofenone-3, due filtri UV comunemente utilizzati nelle creme solari, che al contrario sono più abbondanti sulla cima dei ghiacciai, dove arrivano dalle basse latitudini trasportati dalla circolazione atmosferica.

Questi dati saranno utili per definire piani di monitoraggio nell’area, contribuendo anche alla protezione dell’ecosistema locale. I contaminanti selezionati hanno già dimostrato effetti negativi sugli organismi acquatici alterando le funzionalità del sistema endocrino e ormonale. Alcuni di questi composti sono normati a livello locale in diverse isole del Pacifico e sono attualmente sotto indagine da parte dell’Unione Europea.

In questo contesto, quantificare i processi di re-immissione in ambiente dei contaminanti di interesse emergente durante la fase di fusione della neve diventa una priorità per la protezione dell’ambiente artico nel prossimo futuro. “Sarà fondamentale comprendere i fenomeni di trasporto e deposizione di tali contaminanti nelle aree polari, soprattutto in relazione alle variazioni delle condizioni stagionali locali”, conclude Andrea Spolaor, ricercatore presso il Cnr-Isp. “Condizioni che stanno mutando rapidamente in risposta al cambiamento climatico, che in Artico avviene quattro volte più velocemente rispetto al resto del mondo”.


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