Digital Divide
Il Metaverso è un bluff
Trattandosi di un’accolita di accrocchi e invenzioni, mi guardo bene dal fare di tutta l’erba un fascio, ma voglio scrivere questa breve nota a vantaggio di quanti mi chiedono di cosa si tratti e ancor più di quelli che si manifestano entusiasti come gli indigeni per gli specchietti portati dai conquistadores. La sintesi di quanto segue è che si tratta di un’operazione commerciale per recuperare il successo dei videogiochi nella fantasia fortunatamente per ora ancora patetica di sostituirvi la vita reale con strumenti noti da più di 40 anni e naturalmente da allora molto evoluti e soprattutto compresi che potrebbero avere grande utilità in campi specifici come la medicina, la microtecnica, la sicurezza, l’apprendimento… se il loro costo e le dimensioni dell’apparato che comportano non fossero in molti casi di gran lunga superiori ai servizi di base tradizionali che il più delle volte vengono a meno e con sempre peggiore competenza. Ma adesso andiamo per gradi.
La parola “metaverso” — trovate ovviamente tutto su Wikipedia, specie quello in inglese — deriva dalla fantascienza in quanto contrazione per prefisso greco “meta”, tipico della “metafisica” e del suffisso “verso”, tratto da “universo” in quanto dimensione nella quale hanno luogo tutti i fenomeni. Quando nel ’92 lo scrittore cyberpunk Neal Stephenson lo utilizzò l’idea sottendeva a piani diversi di realtà: non di simulazioni ma proprio di esperienze dimensionali.
Molti oggi spacciano il metaverso come una specie di terra utopica alla Tommaso Moro, ma è ben lontana da questo. Intanto è un modo per fare soldi in un territorio ormai troppo sfruttato come quello dell’elettronica e dell’informatica che molto hanno dato e stanno ancora dando ma non come una volta.
I signori del digitale hanno una vera e propria fame di una nuova bolla come quella di Internet degli anni ’90–2000.
È nel 2021 che la premiata ditta di quisquilie nota come Facebook promuove la Meta Platforms Inc. per la quale assume diecimila persone in Europa con la volontà di sviluppare idea e tecnologie di metaverso ribattezzando il vecchio nome della società in “Meta”.
Sempre Wikipedia corre in aiuto a chi non ci sta capendo più niente sintetizzando nella parola metaverso qualcosa che:
– Si tratta di spazi tridimensionali dove gli utenti si muovono liberamente utilizzando degli avatar; qui si può giocare, creare, lavorare e anche concludere accordi commerciali.
– Il metaverso non è di proprietà delle aziende, ma si tratta di una struttura tecnica condivisa.
– Gli spazi virtuali possono essere creati dagli utenti stessi che li mettono a disposizione di altri utenti.
– Per rendere possibile il collegamento tra lo spazio reale e quello digitale si usano la realtà aumentata e tecnologie di realtà ibride.
– Si possono utilizzare valute virtuali e reali.
– Alla base degli spazi virtuali ci sono degli standard tecnici compatibili, protocolli, l’interoperabilità, la proprietà digitale, la tecnologia blockchain e legislazioni che ne regolano l’uso.
Tutto per i videogiochi
I soldi che Zuckerberg ha messo in Meta li ha già persi, tuttavia è dal mondo delle già discutibili blockchain e di Microsoft stessa che si cerca di forzare la mano per spingere soprattutto le aziende a credere nel metaverso che in questo momento è forte esclusivamente:
1) del potere di calcolo disponibile in rete
2) dello sviluppo importante dei dispositivi di realtà virtuale, primi fra tutti i visori.
Ora ci stanno provando tutti, da Facebook-Meta, ovviamente, fino a Google, Apple e Netflix, ma gli unici a competere con Twitch, seppure in un’altra cultura, sono i cinesi con le loro Huya Live , DouYu, Bilibili e altre ancora.
Queste piattaforme di streaming hanno generato, assieme ad un epocale successo, tanti effetti devastanti, dalla dipendenza all’assuefazione, dalla violazione dei copyright, alla pornografia, la propaganda nazista e quella di odio razziale, sia anti islamico, che antiebraico, ai giochi d’azzardo online favoriti dall’utilizzo delle criptovalute, fino alla vera e propria mafia e malavita in genere.
Conclusione
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