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Seul: dove i morti sono reali

C:\>02 Gli eventi di Seul fanno riconsiderare il significato della morte nel giorno di Halloween.

Che sia un paese dell’Oriente il cui cinema ci ha abituato ad horror e mostri vari a pagare un così alto prezzo in gioventù per festeggiare una ricorrenza del tutto estranea alla propria cultura ci fa specie, anche se pochi giorni dopo il fatto qui da noi è già passato in dimenticatoio nonostante sia proprio questa la notte a cui si va facendo riferimento.

156 morti, per lo più in giovane età a causa di un’allucinazione di massa ci spinge ad evitare di fare tanto la parte dei coccodrilli che quella degli avvoltoi, per quanto possa costituire l’occasione per riflettere sull’anima della notte sacra, quella in cui il cristianesimo ha collocato la memoria di Tutti i Santi proprio a ridosso di quella successiva dei Morti, mentre per le popolazioni celtiche corrispondeva al capodanno, ma soprattutto quella tradizione — da cui si è malamente attinto per creare i festeggiamenti consumistici — attribuiva a questa notte il significato del momento in cui i viventi si trovano più vicini che in qualsiasi altro periodo dell’anno alla dimensione dell’al di là.

Fa specie vedere bambini passare per le strade vestiti da carnevale a recitare la vuota cantilena di “dolcetto o scherzetto”, dove i dolcetti interessano sempre meno e gli scherzetti si fanno sempre più drammatici.

Con il rischio di un’ecatombe nucleare dietro l’angolo c’è ben poco da dire e nella notte di Samhain varrebbe la pena prestare orecchio a ciò che hanno da dirci i morti, ovvero ascoltare la voce dell’anima che interpreta lo Spirito dentro di noi.

Scherzare sul tempo dei morti è un modo per esorcizzare il fenomeno, per non fare guardare il cadavere del nonno ai nipoti, per farci credere di vivere in eterno. Ai nostri figli e nipoti occorrerebbe insegnare a guardare alla morte con serenità e con altrettanto realismo. Insegnare loro a non essere superficiali e che essere stupidi non è liberatorio, ma solo mortale e che il mondo in cui vivono è pieno di stupidi e governato da esseri cinici pronti a massacrarli. E soprattutto che, tanto di fronte ad una vita difficile che al mistero della morte la cosa più importante è raccogliersi al proprio interno, trovare il proprio cuore spirituale e con quello parlare — sì, intendo proprio letteralmente “parlare” — ai morti. Se non ne si hanno di propri o pur avendone, ci si rivolga a quelli che non si conosce, come a quei 156 che la morte nella notte l’hanno toccata con mano una volta per tutte e che, forse, se questa è davvero la notte in cui i due mondi sono più vicini, e non in uno dei troppi film fantasy, aspettano solo che si comunichi con loro, mentre la nostra anima certo non aspetta altro che ci ricordi di lei, tra un’ubriacatura di massa e l’altra.


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