Massa Critica

Italia a rischio stagflazione per la guerra in Ucraina. Nella stagflazione crescono prezzi con rallentamento del prodotto

A causa della situazione generata dalla guerra tra Ucraina e Russia e la situazione economica che si sta generando secondo la Cgia di Mestre, l’Italia è a rischio di stagflazione. La stagflazione si verifica in un’economia che soffre contemporaneamente di un’elevata inflazione e di una crescita bassa o nulla del prodotto nazionale.

Questa combinazione di fenomeni si è manifestata nella maggior parte dei Paesi avanzati per la prima volta all’inizio degli anni 1970, a seguito del primo aumento dei prezzi del petrolio. Il conseguente incremento dei costi di produzione in tutti i processi produttivi hanno provocato una caduta della domanda ha innescato un innalzamento persistente del livello generale dei prezzi che ha portato a un’elevata inflazione, per la presenza in molti Paesi di meccanismi di indicizzazione ai prezzi di salari come la scala mobile in Italia.

Scrive la Cgia di Mestre

Il rischio non è immediato, ma il pericolo che la nostra economia stia scivolando lentamente verso questa tempesta perfetta è molto elevato. Stiamo parlando della stagflazione, un termine ai più sconosciuto, anche perché si manifesta raramente, ovvero quando ad una stagnazione economica si affianca un’inflazione molto alta che fa impennare il tasso di disoccupazione. A dirlo è l’Ufficio studi della CGIA.

Un quadro economico che potrebbe verificarsi anche in Italia, così come già è successo nella seconda metà degli anni ’70 del secolo scorso. Non nel 2022, anche se il trend sembra essere segnato: le difficoltà legate alla post-pandemia, gli effetti della guerra in Ucraina, le sanzioni economiche alla Russia, l’aumento dei prezzi delle materie prime e dei prodotti energetici rischiano, nel medio periodo, di spingere l’economia verso una crescita pari a zero, con una inflazione che si avvierebbe a sfiorare le due cifre. Uno scenario che potrebbe rendere pressoché inefficaci persino i 235 miliardi di euro di investimenti previsti nei prossimi anni dal PNRR.

Contrastare la stagflazione è un’operazione estremamente complessa. Per invertire la spinta inflazionistica, gli esperti sostengono che le banche centrali dovrebbero contenere le misure espansive e aumentare i tassi di interesse, operazione che consentirebbe di diminuire la massa monetaria in circolazione. E’ evidente che avendo un rapporto debito/Pil tra i più elevati al mondo, con l’aumento dei tassi di interesse l’Italia registrerebbe un deciso incremento del costo del debito pubblico. Altresì, bisognerebbe intervenire simultaneamente almeno su altri due versanti: in primo luogo, attraverso la drastica riduzione della spesa corrente e, in secondo luogo, con il taglio della pressione fiscale, unici strumenti efficaci in grado di stimolare i consumi e per questa via alimentare anche la domanda aggregata di beni e servizi. Operazioni, queste ultime, non facili da applicare in misura importante, almeno fino a quando non verrà “rivisto” il Patto di Stabilità a livello europeo.

Su 992 contratti di lavoro depositati presso l’Archivio nazionale dei contratti pubblici e privati del CNEL, al 31 dicembre scorso 622 risultavano scaduti (il 62,7 per cento). Segnaliamo che solo nella seconda parte del 2021, le associazioni datoriali assieme alle sigle sindacali ne hanno rinnovati 363. E’ evidente che con un numero elevato di contratti da rinnovare, le “responsabilità” in capo alle parti sociali saranno importantissime. Con un’inflazione che quest’anno sfiorerà il 4 per cento, dobbiamo assolutamente evitare di alimentare la spirale “prezzi-salari” che verso la fine degli anni ’70 contribuì a far schizzare il caro vita a un livello superiore addirittura al 20 per cento. Così come in parte già si sta facendo, con il rinnovo dei contratti nazionali va sviluppata maggiormente la contrattazione di secondo livello (territoriale o aziendale), potenziando, in particolar modo, il ricorso al welfare aziendale. Un istituto, quest’ultimo, che può svolgere un ruolo importante nel calmierare il caro-vita e allo stesso tempo gratificare, a costi più contenuti di quelli offerti dal mercato, i bisogni di beni e servizi dei lavoratori e/o delle loro famiglie.

Come era prevedibile, dopo 16 giorni dall’inizio della guerra tra Russia e Ucraina, i prezzi delle principali materie prime sono schizzati all’insù, provocando non pochi problemi a tantissime imprese, molte delle quali erano già fiaccate dagli effetti della pandemia che aveva contribuito a diminuire enormemente l’offerta di una buona parte di questi materiali. Della dozzina di voci monitorate, quella che tra il 23 febbraio scorso e ieri ha subito la variazione di prezzo più importante è stato il nickel (+93,8 per cento). Seguono il gas (+48 per cento), il granoturco (+30,3 per cento), il frumento tenero (+29,2 per cento), l’acciaio (+25,1 per cento) e il petrolio (+16,3 per cento). Con variazione negativa, invece, scorgiamo il piombo (-1,3 per cento) e lo stagno (-2,1 per cento) (vedi Tab.1)


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