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Il Second Hand: un mercato in crescita e più sostenibile

La sostenibilità è un aspetto sempre più importante nel guidare le scelte di comportamento e di acquisto dei consumatori e delle consumatrici. L’Osservatorio Second Hand Economy 2020 condotto da BVA Doxa evidenzia infatti che, nel 2020, il 47% delle persone intervistate ha acquistato beni di seconda mano per “contribuire all’abbattimento degli sprechi e al benessere ambientale attraverso il riutilizzo”.

Dall’indagine emerge che il mercato del “Second Hand” – ovvero dell’usato, di seconda mano – è in continua crescita, tanto che nel primo anno della pandemia si è attestato su un valore di 23 miliardi di euro in Italia. Nel suddetto anno, 23 milioni di cittadini hanno fatto acquisti di seconda mano, con un 14% di nuovi clienti, ovvero più di 3 milioni di persone.

Il commercio dell’usato è così salito al terzo posto tra i comportamenti sostenibili più diffusi, imponendosi come un atteggiamento largamente diffuso, soprattutto in alcune categorie. Il second hand è infatti un’abitudine adottata da più del 60% delle persone in tutte e tre le categorie seguenti: laureati e laureate (66%); ragazzi e ragazze della Generazione Z (65%); famiglie con bambini o bambine piccoli (63%). Le motivazioni sono varie. Oltre alla già citata volontà di contribuire alla riduzione degli sprechi e al benessere ambientale, per il 50% di chi acquista di seconda mano una motivazione è il risparmio. Il 44% lo considera un modo intelligente di fare economia, mentre il 13% ha scoperto – a causa della pandemia e del molto tempo passato a casa – cosa può servire e di cosa si può fare a meno.

Questo trend di crescita ha influenzato negli ultimi anni anche il second hand nel settore vestiario e della moda, che a livello globale muove dai 30 ai 40 miliardi di dollari nel 2020 secondo il Boston Consulting Group. Inoltre lo stesso sondaggio evidenzia come il 70% di chi è stato intervistato apprezzi l’aspetto sostenibile del mercato dei vestiti usati, contro il 62% del 2018. Il settore della moda ha infatti un impatto molto grande a livello ambientale, soprattutto per l’aumento costante che negli ultimi decenni ha interessato il numero di capi acquistati da ogni persona. Una ricerca del European Parliamentary Research Service ha dichiarato nel 2018 che il settore dei vestiti contribuiva tra il 2% e il 10% all’impatto ambientale prodotto dai consumi dell’Unione Europea. In particolare avevano – e hanno tutt’ora – una grande influenza la produzione e la lavorazione dei materiali. La ricerca evidenziava inoltre come nel 2018 meno della metà dei vestiti fossero riusati o riciclati. Nello specifico soltanto l’1% veniva utilizzato per produrre nuovi capi.

Le tendenze sopracitate sono perciò molto importanti, nonostante spesso seguano comunque una logica di mercato. Sempre più persone stanno assumendo l’abitudine di acquistare quantitativamente meno, puntando invece maggiormente sulla qualità dei prodotti. Si diffonde una volontà di ridurre la propensione ad un consumo eccessivo e di prendersi più cura di ciò che si possiede già nel proprio guardaroba.

Il second hand può essere dunque un buon alleato nella ricerca di una vita e di una società più sostenibili e attente all’ambiente, magari accompagnato dal recupero di vecchie abitudini come la riparazione di vestiti danneggiati o usurati.


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