Benessere

Che tipo di depresso sei?…

Segnali comuni Secondo il dottor Rafael Euba, uno psichiatra consulente del London Psychiatry Center, bisogna individuare alcuni segnali.

  1. Intanto la perdita di interesse
    L’incapacità di godere delle cose per cui una volta si sarebbe provato piacere assieme ad una simile perdita di interesse per le tue attività sociali, come trascorrere del tempo con gli amici, è uno dei segnali più importanti che ci si sta ritirando in se stessi.
  2. Fatica e insonnia
    Che ne si sia o meno consapevoli il peso delle preoccupazioni affatica e conduce all’insonnia sviluppando un circolo vizioso
  3. Ingigantimento della risposta negativa
    Si potrebbe riscontrare lo sviluppo di una reazione alle notizie negative che normalmente avrebbero al più prodotto indifferenza o senso di disagio, in direzione di preoccupazioni sempre più intense.
  4. Persistente ombrosità disfattista
    Anche se i sentimenti di disperazione, irritabilità e tristezza fanno comunque parte dell’esperienza umana, in questo caso si trascinano più a lungo del solito.

C’è depressione e depressione

Eppure la depressione è un luogo comune di questo periodo.

A fronte di numeri complessivi più ampi, appare realistico che la quota di Italiani che in un anno soffre di sindromi depressive sia pari a circa il 5% della popolazione adulta, vale a dire più o meno 3 milioni di persone. Eppure le depressioni non sono tutte uguali.

Intanto ci sono…

  1. Le Depressioni Reattive il più delle volte qualificabili come nevrosi depressive o depressioni ansiose caratterizzate dal risultare una conseguenza di condizioni esistenziali (lavorative, relazionali, ambientali…). Siamo in una situazione più complessa quando chi viene colpito è soggetto ad oscillazioni di umore in cui una passività pessimista si alterna ad un euforico attivismo senza che per nessuno dei due cambiamenti sussista una vera e propria motivazione. Non sono trascurabili e possono condurre a situazioni esasperanti, inizialmente per la salute del fisico, ma con l’andare del tempo per l’usura cognitiva, una sorta di assuefazione al disagio che porta a non riuscire più a reagire alle condizioni penalizzanti e neppure a quelle possibilisticamente felici. Questa è sicuramente una condizione di elevato valore epidemiologico di questi tempi e colpisce soprattutto le persone con maggiore senso di responsabilità morale e cognitivamente refrattarie a dimensioni umanamente e razionalmente meno accettabili. Se non si interviene per tempo, il danno risulta sempre più difficile da riparare con un peso sociale non indifferente.
  2. Le Depressioni Relazionali possono sussistere nei casi più o meno gravi, laddove la relazione familiare si impronta sullo scambio del ruolo di caregiver. Una delle persone, o più frequentemente a turno, si assume il ruolo di sostenitore o badante del malato. Questa è la regola del gruppo familiare che spesso viene fatta risalire alle famiglie di origine di almeno uno dei due membri della coppia e che può venire trasferita alla progenie. Sai di essere in questo copione (script) quando ti trovi a rinfacciarti più o meno reciprocamente la colpa di chi fa stare male l’altro o di chi non sta aiutando l’altro che soffre.
  3. Le Depressioni Gravi (borderline o psicotiche) sono tali quando si vive interiormente in un buio profondo dell’anima anche se è molto frequente che si mascheri la cosa con un sorriso affettuoso, a volte perfino ebete. In questi casi ci si sta ritirando dal mondo verso i cui turbamenti si prova una crescente indifferenza. In situazioni di questo tipo chi soffre è generalmente poco consapevole del suo stato in quanto lo considera una condizione esistenziale immutabile e universale. Ne esistono di due tipi: quella in cui la persona assume uno sguardo vuoto ed inespressivo in certi momenti perfino impressionante e quella in cui a uno stato incline ad un pianto ed una disperazione senza tregua, per quanto mascherata di dolcezza o autoironia si alternano idee grandiose e progetti intensi il più delle volte irrealizzabili con un’attivazione decisamente maggiore nel corso della notte (stato noto con il termine ultimamente in voga di “disturbo bipolare”). In questi casi non è raro che si cada nella tentazione del suicidio: non per rabbia o per vendetta e men che meno per esibizionismo, ma per spegnere il dramma della disperazione spesso intrisa di sensi di colpa e di impossibilità di salvezza senza altra via d’uscita che il gesto improvviso ed estremo o quello ritualizzato (come la pallottola levigata giorno per giorno da Potocki con cui si sarebbe un giorno suicidato), al punto che si suole definire alcuni di questi casi “fame di morte”.

Come si vede, quando si parla di depressioni si ha a che fare con degli stati molto diversi fra di loro e per fortuna sono ben pochi quelli dell’ultimo tipo, nonostante non vadano sottovalutati neppure gli altri, soprattutto quelli del primo tipo, per la loro diffusione e per i numeri alti di persone coinvolte.

L’unico caso in cui i farmaci sono d’obbligo è il terzo, ma alla fine l’anti-depressivo è divenuto per molti di noi un complemento alimentare (anche per molti minori), complici le nuove (di qualche decennio) generazioni di farmaci. Una bassa tolleranza alla sofferenza? L’incapacità di dare risposte sociali libere e creative? Certamente una forte frustrazione a vivere ed una scarsa integrazione in un modello culturale comune e comunemente accettabile.


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