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Clima

2018, cronaca di un’emergenza annunciata: il bilancio degli impatti dei cambiamenti climatici in Italia

Il clima è già cambiato. Il 2018 è stato l’anno più caldo per l’Italia dal 1800 e si assiste al susseguirsi di record che non possono lasciare indifferenti. Nubifragi, siccità, ondate di calore sempre più forti e prolungate, fenomeni meteorologici sempre più intensi ed estremi dovuti in primis ai cambiamenti climatici stanno causando danni ai territori, alle città indietro nelle politiche di adattamento al clima, e alla salute dei cittadini. Soltanto nell’anno che sta per concludersi solo state 32 le vittime in 148 eventi estremi che si sono succeduti lungo tutta la penisola; 66 sono i casi di allagamenti da piogge intense; 41 casi, invece, di danni da trombe d’aria, 23 di danni alle infrastrutture e 20 esondazioni fluviali.

Tutto questo si colloca in uno scenario per cui la tendenza è quella di un costante peggioramento delle condizioni climatiche che rende oggi non più rinviabile intervenire anche sul fronte dell’adattamento ad un clima che cambia, con l’obiettivo di salvare le persone e ridurre l’impatto economico, ambientale e sociale dei danni provocati.
La fotografia di questo cambiamento è stata scattata nella ricerca 2018 – Cronaca di un’emergenza annunciata realizzata da Legambiente in collaborazione con il Gruppo Unipol che fa un bilancio di quanto è accaduto quest’anno, delineando trend e statistiche dei danni provocati in Italia dai fenomeni climatici evidenziando, inoltre, le buone pratiche, sia nel nostro paese che all’estero, in tema di adattamento degli spazi pubblici, dei quartieri nelle aree urbane, delle piazze, dei fiumi o di piani e strategie per mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici. Informazioni riportate, inoltre, online nella mappa realizzata dall’osservatorio Città Clima di Legambiente.

“L’adattamento al clima rappresenta la grande sfida del tempo in cui viviamo – dichiara Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente –. Purtroppo dalla COP24 appena conclusa a Katowice non è uscita quella chiara e forte risposta all’urgenza della crisi climatica che ci si aspettava dai Governi dopo il grido di allarme lanciato con l’ultimo rapporto del Comitato intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC). La nostra ricerca rende evidente la diffusione e la dimensione degli impatti dei fenomeni meteorologici estremi nel territorio italiano, resi ancor più drammatici dal dissesto idrogeologico, da scelte urbanistiche sbagliate e dall’abusivismo edilizio. Proprio per questo il Paese ha bisogno di approvare un piano nazionale di adattamento al clima, come hanno fatto gli altri Paesi europei, in modo da coordinare le politiche di riduzione del rischio sul territorio. Occorre dar avvio ad interventi rapidi e politiche di adattamento a partire dai grandi centri urbani attraverso nuove strategie e adeguate risorse economiche. Non esistono più alibi o scuse per rimanere fermi: disponiamo di competenze tecnologie per aiutare i territori e le città ad adattarsi ai cambiamenti climatici e mettere in sicurezza le persone”.

Per Legambiente servirà una più forte mobilitazione nei prossimi mesi affinché prima del Summit sul Clima, convocato dal Segretario Generale dell’ONU Guterres per il prossimo settembre 2019 a New York, l’Europa, con il pieno sostegno dell’Italia, riveda il suo obiettivo al 2030 andando ben oltre il 55% di riduzione delle emissioni, in modo da essere per davvero il pilastro di una forte e sempre più larga Coalizione degli Ambiziosi in grado finalmente di tradurre in azione l’Accordo di Parigi.

«Il cambiamento climatico, l’evoluzione demografica e la polarizzazione sono i fenomeni più dirompenti per le assicurazioni di oggi e, ancor più, per il loro ruolo futuro nella società – afferma Marisa Parmigiani, Responsabile Sostenibilità Gruppo Unipol -. Con il position paper “Unipol per il clima”, già nel 2014 il Gruppo aveva assunto impegni sociali di supporto ai processi di adattamento, sia per la conoscenza dei fattori di rischio e di protezione, che per la potenzialità di assorbimento del rischio residuo. In questi quattro anni, i fenomeni catastrofali collegati al cambiamento del clima sono cresciuti significativamente e crediamo che sia fondamentale un accurato monitoraggio per capire la tendenza, ma allo stesso tempo che ciò non sia sufficiente a promuovere un paese più resiliente se accompagnato da opportune azioni di consapevolizzazione ed advocacy. Questa è la ragione per cui ci troviamo, ancora una volta, al fianco di Legambiente supportando questo studio».

I NUMERI DEL 2018. Sono, riportati sulla mappa del rischio climatico di Legambiente, suddivisi nella legenda secondo alcune categorie principali (allagamenti, frane, esondazioni, danni alle infrastrutture, al patrimonio storico, provocati da trombe d’aria o da temperature estreme) utili a capire i rischi nel territorio italiano.
Sono 437 i fenomeni meteorologici riportati dalla mappa che dal 2010 ad oggi hanno provocato danni nel territorio italiano (264 i comuni dove si sono registrati eventi con impatti rilevanti). Nello specifico si sono verificati 140 casi di allagamenti da piogge intense, 133 casi di danni alle infrastrutture da piogge intense con 69 giorni di stop a metropolitane e treni urbani, 12 casi di danni al patrimonio storico, 17 casi di danni provocati da prolungati periodi di siccità, 80 eventi con danni causati da trombe d’aria, 17 casi di frane causate da piogge intense, 68 giorni di blackout elettrici e 62 gli eventi causati da esondazioni fluviali. Ma ancora più rilevante è il tributo che continuiamo a pagare in termini vite umane e di feriti, oltre 189 le persone vittime del maltempo dal 2010 ad oggi, con 32 morti solo nel corso degli ultimi mesi. A questo si aggiunge l’evacuazione di oltre 45mila persone a causa di eventi quali frane e alluvioni.

I CASI PIÙ RILEVANTI. Il 2018 si è aperto con la siccità record registrata nel centro-sud, iniziata nell’autunno 2017, quando ad esempio in Abruzzo e Molise il fiume Trigno a valle dello sbarramento di San Giovanni Lipioni si è ridotto ai minimi termini. In Sicilia questa emergenza è andata avanti fino ai mesi invernali con Palermo che ancora a metà gennaio 2018 ha assistito ad un’emergenza idrica che ha richiesto l’immediata riduzione dei prelievi dai serbatoi al fine di prolungare la fase di esaurimento.
L’anno che si sta concludendo è stato segnato anche da un incremento del numero e dell’intensità delle trombe d’aria che si sono abbattute su tutto il territorio italiano. Allagamenti da piogge intense ed esondazioni fluviali si sono ripetuti poi in Sardegna, causando danni ad abitazioni ed infrastrutture.
Oltre alle vittime segnalate a causa dei violenti venti, il 2018 verrà ricordato anche per le conseguenze drammatiche delle colate di acqua e fango che hanno causato decine di morti come ad Isola di Capo Rizzuto, a Dimaro (TN), in Calabria e ancora in Sicilia.
A livello globale, un recente rapporto di Christian Aid, ha censito gli eventi più distruttivi del 2018 legati ai cambiamenti climatici, ciascuno dei quali ha causato danni per oltre 1 miliardo di dollari. Eventi estremi che hanno colpito ogni continente popolato nel 2018, uccidendo, ferendo e spostando milioni di persone.

LE BUONE PRATICHE. Nella ricerca sono evidenziate anche le buone pratiche che si stanno portando avanti fortunatamente in molti territori. Ad esempio a Torino per quanto riguarda la resilienza delle reti idriche e la corretta gestione dell’acqua; o a Milano con i progetti per la riapertura dei navigli e di piazza Gae Laurenti, esempio di adattamenti di aree pubbliche. Ancora, viene segnalato il piano per la gestione delle acque di Isola Vicentina (VI); della piazza Roma di Modena; del piazzale Kennedy di Rimini; Il piano di adattamento dell’area industrial di Bomporto.

Tra le esperienze all’estero, nella ricerca si sottolinea il diverso approccio per la difesa dalle inondazioni di Boston; l’aumentata resilienza della ferrovia alle inondazioni a Exeter a Taunton, nel sud ovest dell’Inghilterra; le strade dipinte di bianco contro le isole di calore a Los Angeles o ancora a Parigi dove le scuole diventano un’oasi contro il calore.

A questo link la ricerca completa. La mappa del rischio climatico su cittaclima.it


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Ambiente

A Rio de Janeiro temperatura percepita di 62,3 gradi

A Rio de Janeiro il termometro ha segnato domenica mattina alle 9:55 locali che corrispondo alle 13:55 italiane il record di temperatura percepita di 62,3 gradi nel quartiere di Guaratiba.
Si tratta del livello più alto mai registrato nella metropoli brasiliana dal 2014, quando sono iniziate le misurazioni.
Il Brasile sta attraversando una ondata di caldo soffocante e i meteorologi prevedono che la tendenza continuerà almeno fino a mercoledì 20 , giorno in cui inizia l’autunno nell’emisfero australe.


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Clima

Il 2023 è stato l’anno più caldo dal 1850

Il servizio satellitare Copernicus Climate ha confermato che il 2023 è stato l’anno più caldo dal 1850 da cui esistono misurazioni strumentali globali e probabilmente della storia secondo dati indiretti come carotaggi glaciali, anelli alberi, pollini fossili e concrezioni in grotta.

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Ambiente

Tracce di creme solari nelle nevi del Polo Nord

Attività di campionamento di neve a Ny-Ålesund, Isole Svalbard Crediti: F. Scoto, CNR - Unive

Ritrovate tracce di creme solari al Polo Nord, sui ghiacciai dell’arcipelago delle Svalbard. Si depositano soprattutto in inverno, quando sull’Artico cala la notte. A misurarne la concentrazione e spiegarne l’origine è uno studio condotto da ricercatrici e ricercatori dell’Università Ca’ Foscari Venezia e dell’Istituto di scienze polari del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isp), in collaborazione con l’Università delle Svalbard. I risultati sono pubblicati sulla rivista scientifica Science of the Total Environment.

L’obiettivo del lavoro era fornire la prima panoramica della presenza ambientale dei prodotti per la cura personale in Artico, fornendo dati sulla loro distribuzione spaziale e stagionale nel manto nevoso. Grazie ad un progetto Arctic Field Grant finanziato dal Research Council of Norway, in collaborazione con il Cnr-Isp e la stazione di ricerca Italiana Dirigibile Italia a Ny Ålesund, è stato possibile condurre, tra aprile e maggio 2021, un campionamento da cinque ghiacciai, situati nella penisola di Brøggerhalvøya. La varietà dei siti selezionati sia in prossimità di insediamenti umani sia in luoghi più remoti, ha permesso di studiare la presenza e il comportamento dei contaminanti emergenti, composti tutt’ora in uso ma monitorati dalla comunità scientifica in quanto potenzialmente dannosi per l’ecosistema.

I risultati hanno rivelato la presenza di diversi composti, come fragranze e filtri UV, che derivano dai prodotti per la cura personale di largo consumo, fino alle latitudini più estreme.

“Questa è la prima volta che molti dei contaminanti analizzati, quali Benzofenone-3, Octocrilene, Etilesil Metossicinnamato e Etilesil Salicilato, vengono identificati nella neve artica”, afferma Marianna D’Amico, dottoranda in Scienze polari all’Università Ca’ Foscari Venezia e prima autrice dello studio.

“I risultati evidenziano come la presenza dei contaminanti emergenti nelle aree remote sia imputabile al ruolo del trasporto atmosferico a lungo raggio”, spiega Marco Vecchiato, ricercatore in Chimica analitica a Ca’ Foscari e co-autore del lavoro. “Infatti, le concentrazioni più alte sono state riscontrate nelle deposizioni invernali. Alla fine dell’inverno, le masse d’aria contaminate provenienti dall’Eurasia raggiungono più facilmente l’Artico”.

“L’esempio più evidente riguarda proprio alcuni filtri UV normalmente presenti nelle creme solari. L’origine delle maggiori concentrazioni invernali di questi contaminanti non può che risiedere nelle regioni continentali abitate a latitudini più basse: alle Svalbard durante la notte artica il sole non sorge e non vengono utilizzate creme solari”, prosegue Vecchiato.

La distribuzione di alcuni di questi contaminanti varia in base all’altitudine. La maggior parte dei composti ha concentrazioni maggiori a quote più basse, tranne l’Octocrilene e il Benzofenone-3, due filtri UV comunemente utilizzati nelle creme solari, che al contrario sono più abbondanti sulla cima dei ghiacciai, dove arrivano dalle basse latitudini trasportati dalla circolazione atmosferica.

Questi dati saranno utili per definire piani di monitoraggio nell’area, contribuendo anche alla protezione dell’ecosistema locale. I contaminanti selezionati hanno già dimostrato effetti negativi sugli organismi acquatici alterando le funzionalità del sistema endocrino e ormonale. Alcuni di questi composti sono normati a livello locale in diverse isole del Pacifico e sono attualmente sotto indagine da parte dell’Unione Europea.

In questo contesto, quantificare i processi di re-immissione in ambiente dei contaminanti di interesse emergente durante la fase di fusione della neve diventa una priorità per la protezione dell’ambiente artico nel prossimo futuro. “Sarà fondamentale comprendere i fenomeni di trasporto e deposizione di tali contaminanti nelle aree polari, soprattutto in relazione alle variazioni delle condizioni stagionali locali”, conclude Andrea Spolaor, ricercatore presso il Cnr-Isp. “Condizioni che stanno mutando rapidamente in risposta al cambiamento climatico, che in Artico avviene quattro volte più velocemente rispetto al resto del mondo”.


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