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Economia circolare

La corsa ad ostacoli dell’economia circolare in Italia

Prodotti assorbenti per la persona, rifiuti da costruzione e demolizione, plastiche miste e carta da macero. Ma anche oli di frittura, rifiuti da spazzamento, gomma vulcanizzata granulare, ceneri di altoforno e scorie di fonderia. Sono alcune tipologie dei 55 milioni di tonnellate di rifiuti, su un totale tra urbani, speciali e pericolosi di 165 milioni di tonnellate, pari quindi al 33% del totale complessivamente prodotto in Italia, che sono in attesa dei decreti End of waste (Eow) che semplificherebbero il loro riciclo e ridurrebbero il loro conferimento in discarica, negli inceneritori o il loro smaltimento illegale.

Investire sull’economia circolare conviene al bilancio dello Stato perché riduce le importazioni di materie prime, all’ambiente e alla salute dei cittadini. Ma per arrivare a questo risultato è però indispensabile rimuovere quegli ostacoli normativi – ad esempio la burocrazia asfissiante, i decreti Eow sulle materie prime seconde che non arrivano mai, il mancato consenso sociale per la realizzazione dei fondamentali impianti di riciclo – che frenano il decollo di questo modello di sviluppo economico, al centro delle direttive europee, e che trasforma i rifiuti da problema a risorsa. È questa la sfida che Legambiente lancia oggi al Governo e al Parlamento e lo fa presentando dieci proposte pratiche che mirano ad abbattere quelle barriere non tecnologiche ancora oggi presenti che stanno rallentando vistosamente la corsa dell’economia circolare. Una nuova economia, più sostenibile e basso impatto ambientale, che proprio in Italia ha trovato un terreno fertile grazie alle tante realtà virtuose presenti sul territorio che, però, lamentano di essere lasciate sole e in forte difficoltà per un quadro legislativo inadeguato e contraddittorio.

Quello di cui il Paese in primis ha bisogno, per far decollare l’economia circolare, è una norma efficace sull’End of waste, servono poi più impianti per il riciclo e il riuso dei rifiuti urbani e speciali rendendo autosufficienti le regioni, una tariffa puntuale e obbligatoria per ridurre e prevenire la produzione dei rifiuti grazie ai sistemi di raccolta domiciliare, sul modello di quanto già fatto con legge regionale in Emilia Romagna o Lazio, una nuova ecotassa sui rifiuti in discarica basata sui quantitativi pro capite di secco residuo smaltito. Senza dimenticare di costruire un mercato dei prodotti realizzati con le norme relative al Green Public Procurement (GPP) e l’applicazione obbligatoria dei Criteri ambientali minimi (Cam) nelle gare d’appalto, di rafforzare il sistema dei consorzi obbligatori senza pensare a ulteriori aperture al mercato che hanno sempre fallito in questo settore nel passato. È urgente anche garantire più controlli lungo tutta la filiera dei rifiuti, urbani e speciali, per combattere la concorrenza sleale e i traffici illeciti con l’emanazione dei decreti ministeriali della legge 132/2016 che ha istituito il Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente formato da Ispra e dalle Arpa. Una più incisiva azione di controlli a tappeto sul territorio nazionale serve ad esempio anche a contrastare la vendita dei sacchetti fuori legge, garantire il rispetto del bando dei cotton fioc non compostabili, valutare la regolarità delle fideiussioni degli impianti di gestione rifiuti. Tra le altre norme a favore dell’economia circolare che devono vedere al più presto la luce, l’approvazione in tempi rapidi del disegno di legge Salvamare sulla plastica monouso predisposto dal ministro dell’ambiente Sergio Costa unificandone i contenuti con il pdl sul fishing for litter presentato a Montecitorio dalla deputata Rossella Muroni per permettere ai pescatori di fare gli spazzini del mare, e poi far in modo che nei supermercati per l’acquisto dell’ortofrutta si utilizzi sempre meno plastica monouso emanando una circolare del Ministero della Salute per sbloccare l’uso delle retine riutilizzabili.

Sono queste le proposte che l’associazione ambientalista ha presentato oggi nel corso del convegno “La corsa ad ostacoli dell’economia circolare in Italia” organizzato a Roma e che ha visto confrontarsi alla presenza del ministro dell’ambiente Sergio Costa diversi esperti del mondo industriale e membri del Parlamento. Un convegno pensato per ribadire l’importanza dell’economia circolare, basata su riciclo, riuso e recupero dei rifiuti, e che comporta meno sprechi ed emissioni, e più occupazione. Uno studio di Legambiente e Università di Padova su industria 4.0 e economia circolare, ha dimostrato che oltre il 50% delle aziende intervistate, che hanno investito in questo settore, hanno incrementato il livello occupazionale.

“Il 2018 – dichiara Stefano Ciafani, Presidente nazionale di Legambiente – è stato l’anno dell’approvazione del pacchetto europeo sull’economia circolare, ma il 2019 dovrà essere un anno determinante per la sua attuazione. Perché questo avvenga è necessario però rimuovere gli ostacoli non tecnologici che nel nostro Paese sono ancora presenti. L’economia circolare non è solo un modo per uscire dalle tante emergenze rifiuti ancora dislocate in Italia, vuol dire creare investimenti, occupazione ed economia sul territorio, ma bisogna avere il coraggio di andare in questa direzione. Per questo abbiamo lanciato oggi al Governo e al Parlamento questo pacchetto di dieci proposte che devono essere messe al centro dell’agenda politica nazionale per far sì che l’Italia, culla di diverse esperienze di successo, possa assumere una vera e propria leadership in Europa in questo settore, dopo aver fatto già scuola nella lotta al marine litter. Come primo passo da fare – aggiunge Ciafani – occorre approvare al più presto i decreti End of waste. Il riciclo dei rifiuti va semplificato al massimo altrimenti il rischio di dover aumentare i rifiuti di origine domestica o produttiva in discarica, al recupero energetico o all’estero diventa sempre più concreto. È urgente anche che il ministero dell’Ambiente con una task force costituita velocizzi l’iter di definizione e condivisione dei decreti Eow, partendo dall’emanazione di una circolare per tutte le Regioni per confermare che la produzione del biometano da digestione anaerobica non ha nulla a che fare con la normativa Eow”.

Legambiente ricorda che con l’approvazione del pacchetto di direttive europee dell’economia circolare sono stati introdotti obiettivi di preparazione, il riutilizzo e il riciclaggio dei rifiuti: 50% al 2020, 60% al 2030 e 65% al 2035. E su questi l’Italia è ancora indietro, come indica l’Ispra nel suo ultimo rapporto presentato nel dicembre scorso: in Italia, la percentuale di preparazione per il riutilizzo e il riciclaggio si attesta al 43,9%, considerando tutte le frazioni contenute nei rifiuti urbani. A pesare il fatto che in Italia non vi è un’adeguata rete impiantistica a supporto di queste operazioni e la scarsità degli impianti fa sì che in molti contesti territoriali si assista ad un trasferimento dei rifiuti raccolti in altre regioni o all’estero. Ne è un esempio lampante la situazione di Roma: i rifiuti della Capitale viaggiano infatti per tutta Italia e anche all’estero; elaborando i dati Ama si può stimare che su 100 sacchetti di rifiuti gettati dai romani ben 44 vengano portati a spasso verso altre province o oltre regioni.

“Per raggiungere i nuovi target di riciclo dettati dalla normativa europea appena approvata – spiega Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente – servono gli impianti, a partire da quelli di digestione anaerobica e compostaggio per il trattamento della frazione organica, che rappresenta il 40% del quantitativo raccolto con la raccolta differenziata. Ad oggi gli impianti di digestione anaerobica per il trattamento dell’organico ne intercettano appena 3 milioni di tonnellate, meno della metà di quanto raccolto. Considerando che nei prossimi anni la raccolta differenziata dell’umido aumenterà ancora, soprattutto al centro sud, è evidente la carenza impiantistica a cui siamo di fronte, con una forte disparità tra nord, dove è concentrata la quasi totalità degli impianti, e il centro sud dove sono praticamente assenti. Senza considerare che questa rete impiantistica consentirebbe la produzione di biometano, da immettere in rete o destinare come carburante, e compost di qualità. Per arrivare a rifiuti zero in discarica o negli inceneritori serve realizzare mille impianti di riciclo e riuso. Non c’è altra soluzione”.

Per il raggiungimento del potenziale nazionale di 8 miliardi di metri cubi di biometano è anche indispensabile rimuovere gli ostacoli burocratici, che stanno impedendo la riconversione degli impianti di digestione anaerobica in agricoltura, che valorizzano gli effluenti zootecnici, i sottoprodotti agroindustriali e i secondi raccolti, con positive ricadute sulla sostenibilità complessiva del settore primario.


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