Futuri possibili

Professione Scenario Designer

La storia è piena di esempi come quelli che seguono: il patron di IBM, all’epoca società di meccanizzazione, che senza mezzi termini vaticinava che di computer nel mondo ce ne sarebbero voluti al massimo due o tre; più avanti, che nelle case non sarebbe mai entrato un personal computer; un dipendente della stessa che per pura fortuna riuscì a spuntare che nel futuro ci sarebbe stato spazio per i dischi al posto delle schede perforate.

Per attivare più vicino a noi ricorderemo le risposte di RIM e soprattutto di Nokia alla presentazione dell’iPhone, secondo i quali Apple avrebbe dovuto occuparsi di computer invece di invadere un settore che non le compete, sul quale era impreparata e del quale non conosceva la clientela.

Effettivamente la qualità principale di Steve Jobs non era la genialità, ma la vista: riuscire a guardare il domani, non come proiezione dell’oggi, ma come un mondo possibile fra gli infiniti altri e di immaginare quello che, non essendoci nell’oggi, la gente comune avrebbe apprezzato concretamente di avere fra le mani. Steve Jobs non era certo un futurologo come Alvin Toiffler, ma di gente come lui ne servirebbe molta, mentre di fatto ce n’è pochissima. Quindi le aziende che non possono pensare di procurarsi un altro iCeo sembra stiano correndo nella direzione di surrogarlo con una figura di tipo simile ma di portata notevolmente più limitata. Si è parlato in proposito di un mestiere che potrebbe essere definito, appunto, del futurologo che sarebbe oggetto di assunzione nelle società più avanzate. La domanda è come faccia un rinoceronte a riconoscere e apprezzare un ghepardo. Se corri troppo non ti vedrò mai.

Ci sono molte novità già vecchie attorno a noi e che delle cariatidi di direzione sappiano guardare oltre alle parole di moda del periodo suggerite da consulenti che hanno da vendere avanzi in scadenza sappiano immaginare quello che non c’è quando stanno facendo fatica a riconoscere le novità scadute da dieci anni è quasi impossibile.

Esiste un’azienda di consulenza ingegneristica londinese con sedi in quattro continenti, la Arup, che si occupa di fornire ad aziende come Volkswagen, Hershey’s, Capital One figure che già vengono soprannominate “futurologi” nonostante a loro non venga chiesto di portarsi la sfera di cristallo per predire quello che sarà, quanto di “pensare ai possibili sviluppi e diffondere all’interno dell’azienda la consapevolezza e la capacità di adattarsi”. Una professione di counselor di sviluppo, di generatore di apprendimento organizzativo, il figlio di Peter Senge e molti altri ristrutturatori cognitivi delle organizzazioni.

Si tratta di mettere in atto il vecchio principio di aumentare il numero delle variabili in atto, o meglio di immaginare numerosi scenari possibili del futuro, partendo – sì – dalle conoscenze attuali, senza però tirarsi indietro quando si tratti di guardare a quello che ancora non c’è a patto che possa potenzialmente esistere in tempi medio-brevi, o della direzione che occorre intraprendere per essere sul binario giusto per quanto si potrebbe verificare in quelli medio-lunghi.

I professionisti del Design di Scenario sono degli impaginatori della concretezza pronti a guidare il brainstorming di ingegneri ed economisti spesso stupidamente convinti di essere disincantati solo per camuffare una profonda miopia.

Così, David Johnson, per sette anni futurologo per la compagnia informatica Intel, spiega che il suo mestiere riguarda l’uomo, ma anche la fantascienza: «mescolare la finzione con i fatti scientifici consente di “esaminare i luoghi più oscuri, distopici” della realtà e di “tirar fuori idee incredibili”».

In altri termini, non è l’invenzione ma l’uomo a tornare al centro dell’attenzione, perché l’innovazione migliore è sempre quella che assomiglia al nostro modo di pensare ed agire, semplificandoci la vita invece di farci impazzire: una lavatrice meglio di un computer, una buona lega della bicicletta meglio di un computer da manubrio. Questo almeno fino a quando saremo ancora noi a comprare i prodotti e le macchine, e non il contrario a cui spesso sembra ci stiamo arrendendo.

fonte: AGI


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