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Presentati i dati dell’imprenditorialità sociale a Torino destinata a diventare capitale dell’impresa sociale

Sono stati presentati a Palazzo Birago i dati relativi ad un lavoro realizzato dal Comitato imprenditorialità sociale della Camera di commercio di Torino sull’universo del sociale torinese costituto da cooperative, terzo settore, start up di innovazione sociale, associazioni di volontariato.

Come dichiara Mario Calderini, Presidente del Comitato imprenditorialità sociale della Camera di commercio di Torino: “È in atto una trasformazione globale e profonda, nei modelli imprenditoriali, nel terzo settore come nel profit, e sui mercati finanziari. Il segno di questa trasformazione è la ricerca, intenzionale, di un impatto sociale misurabile da affiancare agli obiettivi di creazione di valore economico. La fotografia che presentiamo oggi dimostra che nell’area metropolitana di Torino esistono molti degli ingredienti necessari a intercettare questa trasformazione e trasformarla in una credibile ipotesi di sviluppo locale. Si tratta di includere nel perimetro delle politiche di sviluppo locale una nuova generazione di innovatori, imprese ed investitori finanziari che, con modelli inclusivi e partecipativi sappiano sfruttare le nuove opportunità tecnologiche, coniugando la capacità di produrre intenzionalmente impatti sociali positivi con la sostenibilità e la redditività economica e finanziaria delle loro iniziative. In una parola, mettendo la contaminazione tra impresa sociale, tecnologia e scienza al centro di un progetto che renda Torino uno dei migliori posti al mondo nei quali fare impresa e investire per l’impatto sociale”.

L’ecosistema a impatto sociale annovera sul territorio della città metropolitana torinese oltre 1.900 realtà organizzative, il 47% di quelle regionali: si tratta di un insieme composito, con strutture organizzative e settori di attività economica differenti, ma accomunate dall’obiettivo di generare intenzionalmente un impatto positivo a livello sociale e ambientale, intervenendo su problemi di particolare rilievo per la società e i cittadini.

La quasi totalità è rappresentata da forme imprenditoriali (399 cooperative e 87 imprese sociali) e non imprenditoriali (244 associazioni di promozione sociale e 1.130 di volontariato), cui si aggiungono realtà profit, che non appartengono al “Terzo Settore” come comunemente definito, ma che presentano forme di responsabilità sociale d’impresa, da poter essere considerate a tutti gli effetti imprese ad impatto sociale. Esistono poi anche altre forme di imprenditorialità ibride, come le 38 Start Up Innovative a Vocazione Sociale.

Le potenzialità di ampliamento di questo bacino dell’imprenditorialità a impatto sociale sono però ancora enormi: il traghettamento del mondo “for profit” verso modelli “ibridi” giuridicamente definiti può orientarsi anche verso quelle imprese, circa 700 nel territorio torinese, che già dichiarano di svolgere o progettare azioni di CSR (Corporate Social Responsibility) aziendale.

Per quanto riguarda le forme di imprenditorialità, si possono distinguere 2 diversi ambiti:

– il terzo settore produttivo, che comprende cooperative sociali e imprese sociali

– gli ibridi giuridicamente definiti, ovvero le Start Up Innovative a Vocazione Sociale (SIAVS), le società Benefit e l’ancora embrionale insieme delle “Certified B Corp”.

Cooperative sociali: sul territorio torinese sono attive 399 cooperative sociali, il 48% delle realtà piemontesi e il 2% della cooperazione sociale italiana. Pur rappresentando il modello più consolidato di terzo settore imprenditoriale, il comparto si mostra estremamente vitale e dinamico: il 71% delle cooperative sociali ha iniziato l’attività nel nuovo millennio e, di queste, i due terzi sono attive dal 2010. Quella delle cooperative sociali è una realtà con dimensioni economiche e strutturali significative, con un valore della produzione di circa 830 milioni di euro e 22mila addetti. Mediamente hanno una dimensione più ampia rispetto al resto delle cooperative e a confronto con altre forme giuridiche: le microimprese sono solo il 40% – nel complesso il sistema imprenditoriale torinese tradizionale è composto al 95% da imprese con meno di 10 addetti – mentre oltre il 30% ha fra i 10 e i 50 addetti e un ulteriore 25% è di medie dimensioni. Per il 62% sono prevalentemente finalizzate alla gestione di servizi socio-sanitari ed educativi (cooperative sociale di tipo A) mentre solo un terzo si occupa della gestione attività agricole, industriali, commerciali o di servizi, finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate. Nel medio periodo (2011 – 2017) il numero di cooperative sociali è cresciuto del +62%, mentre da inizio millennio (2001) l’incremento è stato pari al +88%.

Imprese sociali: sono realtà imprenditoriali che si iscrivono nella sezione speciale del Registro Imprese[3] della Camera di commercio di Torino: sono 87 imprese, il 74% delle imprese sociali piemontesi e l’8% delle oltre 1.000 italiane. È uno spicchio imprenditoriale in continua evoluzione, anche a fronte del recente riordino legislativo, e tuttavia ha già manifestato nel medio periodo trend di crescita più che positivi: fra il 2011 e febbraio 2018, il numero di imprese sociali nel torinese è cresciuto del +123%, mentre l’incremento in Piemonte e a livello nazionale è stato più contenuto (rispettivamente pari al +83% e +87%).

Ad esclusione delle società di mutuo soccorso (il 40% dell’insieme), storiche istituzioni a base associativa volontaria in cui i soci membri aderiscono al principio dell’aiuto reciproco, le realtà imprenditoriali sociali sono giovani – il 13% ha iniziato l’attività nel 2017 – e svolgono in prevalenza attività di formazione, accoglienza e più in generale servizi di utilità sociale e di progettazione culturale.

Ibridi giuridicamente definiti: si tratta di un insieme composto da forme organizzative giuridicamente definite nell’ambito delle imprese “for profit”, perché tradizionalmente orientate alla produzione di beni e all’erogazione di servizi per il conseguimento di un profitto, ma più sensibili all’adozione di pratiche di innovazione sociale e alla produzione di impatto sociale sul territorio.

Le Start Up Innovative a Vocazione Sociale (SIAVS) sono 38 su un totale di 46 SIAVS piemontesi e rappresentano quasi il 12% delle start up innovative torinesi: operano prevalentemente nei servizi informatici strumentali alle imprese sociali, e posseggono un elevato contenuto in termini di innovazione tecnologica e impatto sociale prodotto.

Le società Benefit sono imprese for profit che perseguono una o più finalità di beneficio comune e operano in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente. Il riconoscimento a livello legislativo in Italia è piuttosto recente (Legge di Stabilità 2016) e questo spiega la ridotta entità del fenomeno: delle 173 società benefit italiane, 12 sono piemontesi e 5 torinesi.

Ancora limitata anche l’adesione delle imprese a sistemi di certificazione dell’impatto sociale, come il “Certified B Corp”, che prefigge standard di scopo, responsabilità e trasparenza alle imprese aderenti e che ad oggi annovera solo 2 membri in Piemonte, di cui 1 nel territorio torinese.

Il terzo settore non imprenditoriale è un tessuto composito, numeroso e in crescita: le associazioni di promozione sociale sono 244 (+10,4% solo nel corso del 2017, il 45% delle APS piemontesi), e sono prevalentemente attive con azioni di welfare e integrazione sociale (il 54%) oltre che nei campi della cultura, istruzione e formazione (il 33%).

Le Organizzazioni di Volontariato sono 1.130 (+2,7% nel 2017, il 35% del totale) e intervengono primariamente nel campo socio-assistenziale (il 34,3%) e in quello sanitario (il 27,4%).

Oltre alla mappatura, l’attività di ricerca ha previsto un’indagine sul campo con la somministrazione di un questionario online e la realizzazione interviste a particolari soggetti «intermedi» (incubatori, acceleratori). Hanno risposto 107 realtà, tra cooperative sociali torinesi, realtà imprenditoriali ibride e non. In media si tratta di realtà nate da circa 20 anni, dove la componente più longeva e radicata (31% di realtà nate prima del 1990) è bilanciata da uno spicchio importante di realtà nate dopo il 2010 (il 24%). In larga parte dedicate ai servizi socio-sanitari e educativi, queste attività operano in un mercato presidiato prevalentemente da soggetti pubblici e da imprese, ma oltre l’80% rivolge i propri servizi – e genera impatto sociale – in prima istanza a favore di soggetti fisici.

Sono realtà caratterizzate da un’elevata percentuale di laureati, presenti per i 2/3 in misura superiore al 20%. Ma quali fattori possono stimolare la progettualità imprenditoriale e promuovere così impatto e innovazione sociale? Per i due terzi dei rispondenti, il fattore principale è l’emergere di nuovi bisogni sociali: tale elemento interviene in parallelo con l’identificazione di nuove esigenze di mercato (per il 37%) anche in seguito all’arretramento del welfare pubblico (il 34%). Con queste premesse, l’80% dei soggetti ritiene che le attività progettuali o le iniziative imprenditoriali così avviate siano sostenibili economicamente, per il 40% entro i 3 anni.

Le strategie di partenariato sono indispensabili: ben il 74% delle realtà ha già instaurato partnership finalizzate alla generazione di un maggiore valore sociale. In prevalenza, si tratta ancora di reti informali o di reti territoriali finalizzate all’erogazione di forniture e servizi; tuttavia, iniziano ad esservi esperienze di soggetti confluiti in reti associative (Enti del Terzo Settore) o in reti d’impresa contrattualizzate.

Esistono poi importanti soggetti “intermedi” con funzioni di aggregazione, e accompagnamento, come le centrali cooperative e i consorzi (per il 76% delle rispondenti), seguiti da fondazioni e associazioni di categoria. Il 67% delle realtà si rivolge loro per supporto nell’accesso a finanziamenti, ma è importante anche l’assistenza ricevuta per servizi amministrativi e legali (la richiede il 58,7% dei soggetti), così come l’affiancamento per attività di networking (il 49%) e di formazione (il 38%).

Le fondazioni di origine bancaria sono le organizzazioni più longeve e operano sul territorio torinese dall’inizio degli anni novanta. Solamente negli anni 2000 hanno fatto il loro ingresso nell’ecosistema torinese le prime organizzazioni specializzate nel sostegno alle imprese innovative (incubatori). A partire dal 2010 sono nati i primi spazi di coworking e gli acceleratori. Giovani, torinesi, con un background formativo e professionale eterogeneo: questo è il profilo dei beneficiari dei servizi di aggregazione e incubazione di progetti imprenditoriali a impatto sociale, accomunati inoltre da una forte vocazione sociale, dal desiderio di generare un impatto positivo sulla collettività e da spiccate capacità di relazione.

La misurazione dell’impatto sociale è già realtà per il 40% dei soggetti che la realizza in prevalenza con l’ausilio di uno staff interno e l’utilizzo di una metodologia ad hoc. Tra le motivazioni di chi non misura l’impatto, la mancanza di informazioni in proposito (30%), l’assenza di necessità (26%), ma anche la convinzione che si tratti un processo troppo lungo e costoso (24%).

Per queste realtà gli obiettivi per il futuro sono generalmente ambiziosi: dare maggiore rilievo al bisogno sociale all’interno dell’agenda politica locale, diversificare lo sviluppo di prodotti e servizi, aumentare il numero di beneficiari o rivolgersi a differenti destinatari.

Ma non mancano gli ostacoli, legati principalmente a difficoltà di carattere amministrativo o burocratico, a una generale debolezza del mercato di riferimento ma soprattutto alla mancanza di risorse finanziarie.

Il tema delle risorse finanziarie è strategico nel limitare o, viceversa, sostenere lo sviluppo di processi di innovazione sociale. Ad oggi, le realtà intervistate adottano ancora prevalentemente strumenti di finanza tradizionale: si tratti di autofinanziamento generato dai ricavi prodotti (65% delle imprese), da fondi dell’imprenditore (27%), o prestiti bancari (il 42%) o finanziamenti pubblici locali (il 32%). Non a caso, il 58% degli intervistati riterrebbe di supporto un servizio di orientamento alle misure finanziarie per soggetti del terzo settore o agli strumenti finanziari di impatto sociale.

Anche dalle interviste ai soggetti “intermedi” emerge la percezione di una limitata capacità di fundraising e investment readiness dei futuri imprenditori, ancora poco orientati verso la crescente offerta sul territorio di strumenti di finanza innovativi.

“Il nostro è un territorio estremamente ricco nel terzo settore: parliamo di 400 cooperative sociali, 87 imprese sociali, una cinquantina di realtà ibride, solo in ambito imprenditoriale, senza contare le più di 1.100 associazioni di volontariato e le 244 associazioni di promozione sociale – ha commentato Vincenzo Ilotte, Presidente della Camera di commercio di Torino. – È da oltre 15 anni che l’ente camerale ha scelto di occuparsi imprenditorialità sociale, ritenendola una risorsa importante per questo territorio, in grado di creare occupazione, sviluppo e inclusione. Con il nostro Comitato, tuttavia, non ci limitiamo a fotografare l’esistente, ma ci proponiamo per orientare la nascita di nuove attività, con servizi di preincubazione, formazione sulla misurazione dell’impatto sociale e supporto nella ricerca di strumenti finanziari innovativi, anche nell’ambito della nuova piattaforma Torino Social Impact”.


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 Fridays for Future Italia torna in piazza il 19 e 20 Aprile contro gli interessi che ostacolano giustizia climatica e sociale

 Fridays for Future Italia torna in piazza il 19 e 20 Aprile contro gli interessi che ostacolano giustizia climatica e sociale inasprendo o generando instabilità e un conflitto mondiale a pezzi.

Quest’anno il movimento scenderà in piazza insieme ai movimenti palestinesi per chiedere anche un cessate il fuoco immediato e permanente in Palestina. Come afferma Martina Comparelli, attivista di Fridays For Future Milano: “Gli interessi delle lobby fossili continuano a finanziare gli Stati responsabili di guerre, colonialismo e genocidi, come per esempio accade nel caso del Piano Mattei di ENI voluto dal governo Meloni. La stessa ENI a fine Ottobre 2023 ha firmato un accordo con chi colonizza la Palestina, per esplorare giacimenti di gas nelle acque di Gaza, rendendosi a pieno titolo complice del genocidio del popolo palestinese.”

Inoltre, è stato annunciato uno sciopero di tutta la giornata di venerdì 19 aprile da parte del sindacato Sisa per tutto il personale docente, dirigente e ATA, sia di ruolo che precario, sia in Italia che all’estero. Questo sciopero rappresenta un’importante mobilitazione nel settore dell’istruzione, sottolineando l’urgenza di affrontare le sfide attuali legate alla giustizia climatica e sociale anche nel contesto educativo.

Il movimento climatico chiama a raccolta tutte le realtà che lottano per la giustizia climatica e sociale, per la costruzione di un futuro condiviso e più equo per tutti. “Abbiamo bisogno di riprenderci il futuro. Di agire per il benessere collettivo, fermando i progetti fossili confermati con il Piano Mattei come il raddoppio del gasdotto Tap, realizzando qui come altrove una transizione a pianificazione democratica” aggiunge Comparelli.

Di transizione e Piano Mattei si parlerà anche al prossimo G7 in Puglia, a giugno, ma gli già insufficienti impegni presi nell’edizione precedente non vedono ancora un riscontro nelle politiche italiane, come spiega Michele Ghidini, attivista di Fridays For Future Brescia: “Serve una spinta decisa verso l’uscita dal fossile: se vogliamo davvero rimanere i +1.5°C dobbiamo seguire le indicazioni che la scienza ci ha dato già da tempo. L’ultimo rapporto dell’IPCC è chiaro: la transizione deve essere accelerata accompagnandola con misure di riduzione delle disuguaglianze come la cancellazione del debito.”

Le date di mobilitazione sono annunciate in collaborazione con altre realtà sociali, sindacali e transfemministe, tra le quali il collettivo di fabbrica GKN e Giovani Palestinesi Milano. Come dice Alessandra Pierantoni, attivista di Fridays For Future Forlì: “Vogliamo mostrare che un’alternativa è non solo possibile, ma desiderabile. Abbiamo bisogno di un intervento pubblico ora che operi ora e massicciamente per assicurare una transizione equa partendo dai bisogni di base, che coinvolga anche il mondo del lavoro, in modo da creare nuovi posti in tutti i settori necessari e adottare politiche di inclusione economica e sociale. Nessuno/a deve essere lasciato indietro.”


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