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Digital Divide

Il Castello di Facebook

Cambiando Social Network

La persona ha una rappresentazione di sé sempre più impotente, come i personaggi di Frank Kafka

Neppure Kafka l’avrebbe immaginato così bene: Facebook è diventato un incubo incombente cui non si può rinunciare. Certo, lo so anch’io che si può rinunciare a tutto e diventare dei completi inattuali, ma non stiamo a raccontarcela le cose bene o male passano dai social network maggiori e quelli in questo momento, almeno per i digitali di massa di questo paese sono solo due, ed entrambi compromessi dagli imperi del controllo: il primo, va da sé, è Facebook e le sue emanazioni, WhatsappInstagramMessenger e qualcos’altro che non citerò, l’altro è Microsoft nelle sue personificazioni, da LinkedIn(che, per chi non se ne fosse accorto, non è più quello strumento per mettere insieme le idee geniali), PulseYammer… Dimenticate Twitter che è ristretto agli americani e poco più e ai giornalisti e lasciamo perdere le idee confuse di Google con il suo Plus.

Ricordo la prima volta che scrissi di Social Nertwork come un fenomeno che stava rivoluzionando la nostra vita in rete in pratica che io ricordi c’erano solo Friendster, il filobrasiliano Orkut (primo aborto di Google), forse il musicistico MySpace e l’adolescenziale Netlog, quindi Linkedin esclusivamente ad inviti ristretti. Oggi l’elenco potrebbe essere smisurato. Allora sembrava un gioco dalla breve vita; oggi un incubo senza fine.

Eppure le cose non stanno così: sono veramente tanti i social media service ad avere avuto un periodo di gloria suprema per poi sciogliersi come nebbia al sole e queste entità ciclopiche potrebbero scomparire quando una moda superiore si insinua imprevista. La bravura di Zuckerberg è stata sempre quella di anticipare questa possibilità con acquisti apparentemente incomprensibili che hanno consentito di tenere in piedi il castello kafkiano.

Per chi non conoscesse il lavoro dello scrittore praghese, Il Castello è una realtà da incubo in cui è impossibile penetrare e che sovrasta il villaggio legiferando senza neppure dovere intervenire direttamente, ma semplicemente lasciando che tutto sia dato per scontato nell’impossibilità per chi entra nella sua orbita gravitazionale di uscirne o di portare al termine il proprio obiettivo.

Negli ultimi tempi Facebook è diventato il ministero della verità e questo avviene proprio nel momento in cui decide di far parte del mondo delle notizie come un novello Citizien Kane di Quarto Potere.

Il senso di quello che (non-) sta accadendo e che (falsamente) ci sembra di intuire e che è Facebook a governare chi dice la verità e chi no e che, diversamente da ieri, quando l’importante era massimizzare i contatti, ora che i miliardi di utenti sono definitivamente nella rete, può scegliere chi ci sta e chi no e soprattutto far pagare chi vuole essere ascoltato e chi no. Gli algoritmi in tal caso aiutano ma la strategia la fanno le persone. È così che tutta una serie di condivisori incominciano a finire per essere, non cancellati, ma sottoesposti dagli elenchi. Riviste on line vengono bannate per misteriose ragioni di netiquette, dal trolling al fakenewismo.

Il bello di tutto ciò è che quando nessuno di noi ha guardato i contratti che sottoscriveva con loro, una delle condizioni era che a casa loro avrebbero potuto fare quello che volevano a dispetto delle recalcitranze degli ospiti come noi e che non era data nessuna condizione per conferire con “il castello”.

Per chi paga e chi pagherà le cose sono ben diverse. Fate attenzione anche a chi vende: in un’occasione ho pagato delle scarpe che non sono mai arrivate per poi scoprire che il negozio era finto — ma tanto, diversamente da Amazon & c., naturalmente Amazon non ha da giustificare nulla riguardo ai suoi inserzionisti, diversamente da quanto fa per le fonti che ad insindacabile valutazione di torto o ragione fa in modo di censurare. Ancora qualche giorno fa, cogliendo un banner che vendeva iPhone X a 50€ rimandando ad un sito dove i link giravano a vuoto e, a dispetto dell’apparenza non portavano da nessuna parte, ho segnalato la truffa salvo ritrovarmelo tra i piedi anche nei giorni successivi. Quando ci sono soldi le cose cambiano. Se poi hai delle pagine vieni autenticamente tempestato da inviti a rimpolpare le pagine pagando campagne pubblicitarie e se tu non le guardi finisci per essere ignorato nello stesso modo. Siamo alla resa dei conti? Facebook sta facendo pagare il suo controllo sulla relazione reciproca dei suoi utilizzatori e sul grado di fidelizzazione.

Orson Welles in Citizen Kane

Rispetto ai tempi dello scrittore praghese, oggi chi nutre Facebook di contenuti non viene pagato e, salvo rari casi, non ne trae nessun beneficio, visibilità a parte. Come per il supermercato a cui non basta pagare, grafici, tipografi, cartiere, incollatori e tabelloni, ma devono aggiungere la gabella di affissione alle istituzioni per mostrare al mondo la propria esistenza, oggi il giornale che voglia ricevere visite non può essere assente da Facebook. Questo non perché la Media Company dia un qualche valore aggiunto, ma solo perché oggi passano tutti di lì. Non paghi di questi introiti, piano piano stanno arrivando anche a quelli che hanno creato pagine o gruppi amatoriali e ai relativi referenti (amministratori e owner) che se non fanno pubblicità alle loro pagine, anche se non c’è niente da guadagnare, ma piuttosto sono gli autori che contribuiscono con i loro contenuti, contenuti che ai tempi di Kafka venivano pagati e oggi devono pagare per alimentare l’editore. Già, perché, proprio come Google da decenni cerca invano di essere un social media, Facebook cerca da poco meno di fare l’editore senza aver mai combinato un fico secco. Il problema è che dovrebbero pagare qualcuno per i pezzi e non si capisce perché se ora vengono pagati per la stessa ragione senza avere pubblico inferiore. Infatti la gente va sul sito per le battute, il pettegolezzo, le verità nascoste, il gossip… e tutto questo i giornali lo offrono poco e a pagamento mentre miliardi di digitalinatori ne riversano a vagonate ogni secondo e gratis. Con qualche giorno di queste vagonate Zuckerberg potrebbe facilmente comprare Medium come fece a suo tempo Google con Blogger e avere la sua apparenza DOCG senza più metterci un soldo.

Naturalmente non dipende da lui tutto questo; se sfrutta le opportunità che gli vengono offerte non è perché sia cattivo, ma perché alla fine la gente è pigra e gregaria: tutti fanno quello che fanno gli altri. Quando nacque Whatsapp e fu per tutti i telefoni, Nokia compresi, chiedevo senza alcun successo ai ragazzi perché ingrassassero i carrier telefonici con gli SMS quando potevano facilmente usare i Messenger sugli smartphone; oggi faccio lo stesso riguardo alle alternative allo stesso Whatsapp e con lo stesso tipo di successo.

A quelli che dicono: “Bisogna andarsene da Facebook”, rispondo sempre chiedendo perché uno dovrebbe cancellarsi da un elenco telefonico, così come a quelli che affermano che non ci sono alternative suggerisco che si diano da fare a guardare bene.

Se in tanti lo faranno Facebook si troverebbe a vendere noccioline nello spazio di un respiro, anche se tutti continuassero ad essere iscritti ai suoi media.

https://hosting.ber-art.nl/social-media-history-infographic/

Per farsi un’idea degli attori attualmente in gioco da noi possiamo guardare alcuni elenchi come quelli che seguono:

Come si può notare le tre posizioni di testa, ognuna delle quali stacca di gran lunga gli inseguitori, sono tutte aggiudicate da una compagnia di Zuckerberg che, tornando con la prima posizione occupata dopo il trio cinese dalla cui parte stanno i numeri della popolazione con un altro titolo, arriva ad un totale di 4 miliardi e mezzo di account utilizatori. Ecco la carne da cannone dei social: noi!

A mano a mano che si scende ci si trova in una zona sempre più oscura per la maggior parte dei lettori. Eppure, anche così siamo ben lontani da avere un quadro chiaro della situzione. Ne è riprova l’articolo qui linkato dove potrete incontrare 10 social non di così scarsa frequentazione di cui nessuno di noi sospettava l’esistenza. Altrimenti possiamo consultare quest’altro elenco dove compaiono anche delle aziende nazionali come Quag.

Oppure consultare questo ricco e serio articolo del Sole 24 Ore da cui sono tratti i grafici che seguono riferiti alla primavera di quest’anno nel nostro paese.

Come si può vedere nelle tabelle che compaiono in appendice, gli unici comportamenti divergenti provengono da operai con utilizzi saltuari e utilizzatori refrattari. Gli altri hanno un uso standard incline all‘allineamento conformistico nei confronti del monopolio dei media del gruppo Facebook.

Ciononostante sono sicuro che vi siano molte persone, specie fra i 25 e 40 anni che pensano di conoscere tutti i social network del mondo, compreso quelli che non ci sono più. Allora proviamo proprio a vedere quali siano questi ultimi, ovvero i Social morti e sepolti:

43 ThingsApp.netAvatars UnitedBoltCapazooeConozcoFitFinder,FormspringFriendFeedFriends ReunitedFriendsterGoogle Buzz,Grono.netHeelloHyvesiTunes PingiWiWJaikuLunarStormMeerkat,Me2dayMobliMugshotNetlogNatter Social NetworkOrkutPiczo,PlanetAllPosterousPownceQaikuSixdegrees.comSo.clSurfbook,tvtagWindows Live SpacesWretchYahoo! 360°Yahoo! KickstartYahoo! MashYahoo! MemeYik Yak

Se pensate che siano solo dei dilettanti e militi ignoti vi sbagliate proprio: molti di questi sono stati i Facebook dei primi anni, come il già citato Friendster, Orkut, Posterous, Friendfeed, Google Buzz, Netlog, App.net… e se pensiamo al mondo del blogging ci sono ancora diversi assenti.

Veniamo ora all’esistente: l’elenco completo — anche qui sicuramente ne mancheranno molti, specie di settori verticali o in lingue nazionali — lo inserisco in appendice per non appesantire la lettura, ma può essere sufficiente elencare i più importanti in ordine di ranking:

Le prime diciotto posizioni per ranking dei servizi di Social Network

Bene, ora proviamo a togliere le prime posizioni (Facebook, Twitter, Linkedin) per la ragione che andremo a illustrare in seguito, quelli legati ad una nazione, dalla Cina, alla Russia, all’Argentina e infine quelli verticali come quelli delle comunità di artisti e amanti della fotografia o dei locali pubblici, restando in posizione alta non ce ne resteranno tanti.

Visto che StumbleUpon è qualcosa di particolarmente specialistico e non molto sociale, lo sostituiamo con Flipboard che invece non viene compreso da questo elenco perché considerato a torto ancora un aggregatore e nulla più, mentre ha una sua vita social e soprattutto risulta essere uno dei migliori collettori per condividere notizie sugli altri social: per essere precisi, Facebook, Twitter, Linkedin e Tumblr. Poi esiste ancora un uso particolare di Telegram Messengerche non è stato ben compreso, ma che può diventare presto scalzante per la forte autonomia, libertà e personalizzabilità: quello dei Canali e delle Instant View.

Di quelli che rimangono ci sono sostanzialmente Tumblr, Pinterest e in qualche misura Instagram.

Un giorno potremo andare a curiosare nelle lunghissime righe con tutti gli altri nomi che trovate in fondo, ma per uscire dal conformismo che appiattisce senza abbandonare del tutto — per il momento — gli amici mainstream dipendenti, ovvero Facebookaholic che non riescono a separarsi da Facebook, Linkedin e Twitter (quest’ultimo ha un suo particolare valore di cui ho fatto cenno in passato e conto di ritornarci più avanti) possiamo migrare in questi ambienti, anche se sono meno caotici e meno assuefacenti:

  • Tumblr
  • Flipboard
  • Telegram
  • Pinterest

Ognuno di questi tre ha le sue preferenze e i suoi privilegi che vi lascio scoprire. Oltretutto ognuno consente di condividere più o meno automaticamente quello che vi inserite anche sui siti di mainstream sopra citati e quindi non sarà interessante solo per chi è iscritto a quei servizi, ma anche per tutte le altre pecorelle che non sanno fare a meno delle abitudini.

Qualcuno dirà che Facebook mette in secondo piano quello che arriva da condivisioni esterne ma, come abbiamo visto all’inizio, non è un buon periodo, fra fake news arbitrarie e di regime, presenze superficiali e omologanti e spinta a pagare per l’uso avanzato della piattaforma, per credere di essere privilegiati in quanto iscritti al Grande Fratello delle Facce.

Se poi, oltre che a condividere scritti altrui, siete interessati anche a diffondere i vostri, beh che c’è di meglio di Medium o WordPress?

Insomma, guardatevi in giro e cominciate ad accorgervi che le alternative ci sono e che c’è sempre di meglio a quello che comprano tutti, dall’Hamburger alle “catene di santantonio”. E, tanto per precisare, la mia migrazione prosegue: su Tumblr e Telegram soprattutto e anche su Flipboard.

Infine, chi mi segue di più sa anche che i miei scritti sono sempre qui su Medium, sui siti WordPress e su alcune pubblicazioni come adesso Massa Critica.

«Vi aspetto “fuori”!»


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Il Metaverso è un bluff

Trattandosi di un’accolita di accrocchi e invenzioni, mi guardo bene dal fare di tutta l’erba un fascio, ma voglio scrivere questa breve nota a vantaggio di quanti mi chiedono di cosa si tratti e ancor più di quelli che si manifestano entusiasti come gli indigeni per gli specchietti portati dai conquistadores. La sintesi di quanto segue è che si tratta di un’operazione commerciale per recuperare il successo dei videogiochi nella fantasia fortunatamente per ora ancora patetica di sostituirvi la vita reale con strumenti noti da più di 40 anni e naturalmente da allora molto evoluti e soprattutto compresi che potrebbero avere grande utilità in campi specifici come la medicina, la microtecnica, la sicurezza, l’apprendimento… se il loro costo e le dimensioni dell’apparato che comportano non fossero in molti casi di gran lunga superiori ai servizi di base tradizionali che il più delle volte vengono a meno e con sempre peggiore competenza. Ma adesso andiamo per gradi.

La parola “metaverso” — trovate ovviamente tutto su Wikipedia, specie quello in inglese — deriva dalla fantascienza in quanto contrazione per prefisso greco “meta”, tipico della “metafisica” e del suffisso “verso”, tratto da “universo” in quanto dimensione nella quale hanno luogo tutti i fenomeni. Quando nel ’92 lo scrittore cyberpunk Neal Stephenson lo utilizzò l’idea sottendeva a piani diversi di realtà: non di simulazioni ma proprio di esperienze dimensionali.

What are MultiversesIn fondo un “metaverso” non è che una categoria più astratta di quella di “multiverso” per la quale non si può dimenticare che era il 1895 quando lo psicologo americano William James la introdusse per rendere d’idea di universi paralleli, idea che venne ripresa poi dallo scrittore di fantascienza statunitense Murray Leinster nel 1934 e in seguito da molti altri, come Jorge Luis Borges, divenendo infine un classico del genere fantastico fino a che negli anni ’80 entrò nel gergo scientifico della fisica teorica in quanto “insieme di universi coesistenti previsto da varie teorie, come quella dell’inflazione eterna di Linde o come quella secondo cui da ogni buco nero esistente nascerebbe un nuovo universo, ideata da Smolin. Le dimensioni parallele sono contemplate anche in tutti i modelli correlati alla teoria delle stringhe” (Wikipedia) che qualsiasi fan della serie TV “Big Bang Theory” dovrebbe conoscere bene.

Molti oggi spacciano il metaverso come una specie di terra utopica alla Tommaso Moro, ma è ben lontana da questo. Intanto è un modo per fare soldi in un territorio ormai troppo sfruttato come quello dell’elettronica e dell’informatica che molto hanno dato e stanno ancora dando ma non come una volta.

I signori del digitale hanno una vera e propria fame di una nuova bolla come quella di Internet degli anni ’90–2000.

È nel 2021 che la premiata ditta di quisquilie nota come Facebook promuove la Meta Platforms Inc. per la quale assume diecimila persone in Europa con la volontà di sviluppare idea e tecnologie di metaverso ribattezzando il vecchio nome della società in “Meta”.

Facebook era già un metaverso a modo suo, anche se la gente reale lo ha sempre usato come una mappa che facilita la comunicazione e le relazioni fra soggetti reali in scenari reali. L’idea dei nostri gambler sarà invece quella di invertire i poli e far sì che il mondo reale finisca per diventare la simulazione di quello che fino ad oggi consideravamo virtuale. Come farlo? Riscoprendo un vecchio accrocco patetico e sfortunato che ha fatto perdere soldi reali a babbioni disposti a fare investimenti fasulli come abitazioni fatte di figurine nel “videogioco” Second Life che ebbe fra i suoi principali promotori IBM stessa.

Sempre Wikipedia corre in aiuto a chi non ci sta capendo più niente sintetizzando nella parola metaverso qualcosa che:

– Si tratta di spazi tridimensionali dove gli utenti si muovono liberamente utilizzando degli avatar; qui si può giocare, creare, lavorare e anche concludere accordi commerciali.
– Il metaverso non è di proprietà delle aziende, ma si tratta di una struttura tecnica condivisa.
– Gli spazi virtuali possono essere creati dagli utenti stessi che li mettono a disposizione di altri utenti.
– Per rendere possibile il collegamento tra lo spazio reale e quello digitale si usano la realtà aumentata e tecnologie di realtà ibride.
– Si possono utilizzare valute virtuali e reali.
– Alla base degli spazi virtuali ci sono degli standard tecnici compatibili, protocolli, l’interoperabilità, la proprietà digitale, la tecnologia blockchain e legislazioni che ne regolano l’uso.

Tutto per i videogiochi

I soldi che Zuckerberg ha messo in Meta li ha già persi, tuttavia è dal mondo delle già discutibili blockchain e di Microsoft stessa che si cerca di forzare la mano per spingere soprattutto le aziende a credere nel metaverso che in questo momento è forte esclusivamente:
1) del potere di calcolo disponibile in rete
2) dello sviluppo importante dei dispositivi di realtà virtuale, primi fra tutti i visori.

ArmA 3 - CLÃ NETGAMES - xNGx - TRGM2 - Takistan (Gospandi) - YouTubeSono pochi tuttavia a ricordare che questi sviluppi non partono né dai media, né dai social, né dalle aziende tradizionali, ma da qualcosa del quale i signori come Zuckerberg si sono accorti quando ormai era diventato un fenomeno di proporzioni mostruosamente galattiche: i videogiochi! Ma non dei videogiochi qualsiasi, ma del cosiddetto netgaming, le comunità che letteralmente vivono simultaneamente in rete immersi in ambienti ludici virtuali per allontanarsi dai quali soffrono più che se dovessero cavar loro un molare. Fra i primi a rendersene conto fu la compagnia di Bezos che ebbe la geniale idea di convertire parte dei propri investimenti in potenza di calcolo e di memoria dalla clientela aziendale a quella del gioco in rete acquisendo la piattaforma Twitch nata nel 2011 e acchiappata solo 3 anni dopo per meno di un miliardo di dollari (altro che i 43 di Musk per Twitter!).

Ora ci stanno provando tutti, da Facebook-Meta, ovviamente, fino a Google, Apple e Netflix, ma gli unici a competere con Twitch, seppure in un’altra cultura, sono i cinesi con le loro Huya Live , DouYu, Bilibili e altre ancora.

Queste piattaforme di streaming hanno generato, assieme ad un epocale successo, tanti effetti devastanti, dalla dipendenza all’assuefazione, dalla violazione dei copyright, alla pornografia, la propaganda nazista e quella di odio razziale, sia anti islamico, che antiebraico, ai giochi d’azzardo online favoriti dall’utilizzo delle criptovalute, fino alla vera e propria mafia e malavita in genere.

Conclusione

O metaverso: origem, definição e aposta do FacebookSe pensate che il multiverso sia un mondo ideale non dimenticate che gli scopi dell’umanità sono sempre gli stessi e che questa logica è idealizzata anche dai sostenitori della singularity, come i transumanisti del Word Economic Forum. E, se è già quasi impossibile contenere la malavita e le guerre agendo nel mondo reale, sarà definitivamente impossibile farlo quando l’essere umano non sarà altro che una larva dentro un qualche metaverso fatto dei suoi videogiochi e videomondi. Questo probabilmente solo per chi può, in quanto non è da sottovalutare che non tutti — anzi, ben pochi — potranno permettersi gli astronomici costi dei dispositivi e degli abbonamenti necessari per farlo, ovvero per evitare di guardare il disastro che si è creato intorno a loro in quel metaverso che chiamavamo “mondo reale”.


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